Le ormai note caratteristiche proprie di un regista sensibile e contemporaneamente brillante come Paolo Virzì, unite all’esperienza e all’immensa bravura dei due attori principali, Helen Mirren e Donald Sutherland, che questa volta si sono davvero donati all’opera in modo incredibilmente generoso, candidandosi entrambi di diritto alla Coppa Volpi, hanno dato forma, dopo La pazza gioia, a un altro esempio di connubio tra energia e sentimento. Ella & John (in USA The Leisure Seeker), presentato in concorso nella quarta giornata della Mostra Cinematografica di Venezia, è un’opera allo stesso tempo toccante e divertente che, oltre a confermare la padronanza e il mestiere del regista, determina un ulteriore passo in avanti nella sua carriera, annoverandolo tra gli autori più incisivi e riconosciuti del panorama cinematografico nostrano. Riconoscimento del tutto meritato che, dopo questa ulteriore prova autoriale decisamente riuscita in trasferta negli Stati Uniti, acquisisce un valore sostanziale anche fuori dal nostro paese.
Fin troppo umili, durante la conferenza stampa i due protagonisti hanno entrambi lodato il regista livornese e il cinema italiano in genere, Helen Mirren affermando addirittura e decisamente in un eccesso di considerazione per quanto possa far piacere, che lei e il suo collega non hanno fatto altro che mettersi a servizio dell’autore, che ha fatto tutto il lavoro, spendendo inoltre parole di riverenza per i grandi nomi italiani come Claudia Cardinale, Anna Magnani, Monica Vitti; e Donald Sutherland asserendo di non considerare Virzì un autore da inquadrare specificamente nel cinema italiano ma di trovarlo universalmente sensibile e umano e di apprezzarlo molto più per le sue doti assolute che non per il suo essere italiano.
Il regista accoglie i complimenti ma è evidentemente galvanizzato e non nasconde di sentirsi onorato dall’aver potuto dirigere interpreti del loro calibro, raccontando che, inizialmente per niente sicuro di sentirsi a suo agio nel lavorare in un ambiente del quale non si sentiva padrone come del proprio, e avendo espresso il desiderio che fossero proprio loro i due protagonisti ma senza crederci troppo, è stato assolutamente incapace di tirarsi indietro nel momento in cui questi hanno accettato di interpretare il film.
Ispirandosi a un romanzo di Michael Zadoorian e coadiuvato nella sceneggiatura da Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Stephen Amidon, Virzì firma un commovente on the road che con grande delicatezza riesce a cogliere spirito gioioso e senso di libertà in temi che in realtà sono estremamente drammatici.
La stessa tematica per esempio, facendo le dovute differenze, viene affrontata in modo molto più pessimistico e disperato, utilizzando un registro completamente diverso, nel bellissimo Amour (2012) di Michael Haneke.
Ogni essere umano, dal momento in cui raggiunge una certa maturità individuale, possiede un senso di identità compiuto che, oltre a essere consapevole, è riconosciuto dai propri simili in quanto tali, cosa che gli assicura dignità e rispetto delle proprie esigenze e volontà. Purtroppo, con l’avanzare dell’età e il presunto deterioramento del corpo e delle funzioni cognitive, le cose spesso cambiano in maniera inopportuna e del tutto sproporzionata rispetto alla reale entità del progressivo declino dell’individuo, rendendo un periodo della vita già drammatico ancora più difficile e angosciante. Le persone anziane senza nemmeno avere il tempo di accorgersi di essere meno padroni di sé, cosa che di per sé deve produrre un’estrema inquietudine, si ritrovano a perdere il diritto di decidere per se stessi, vittime di figli apprensivi, che certamente in buona fede, però, prendono il sopravvento sulle istanze dei genitori, dando per scontato che non siano più in grado di occuparsi di loro stessi, ma soprattuto smettendo a quel punto totalmente di riconoscer loro dei desideri, pensieri, emozioni e vissuti propri e autonomi. Questo tristissimo processo che un anziano vive come vera e propria violenza e privazione della propria autodeterminazione è contrastato e fortunatamente rallentato quando queste persone hanno la fortuna di arrivare a quell’età con accanto il compagno o la compagna di una vita, insieme. Ed è proprio il valore e il potere di questo “insieme” che Ella e John riescono a trasmettere magnificamente, sottolineandolo in tutte le sue manifestazioni e mostrandolo in ognuno dei suoi vissuti che spaziano dalla tenerezza alla paura, dalla rabbia al divertimento, ciascuno dei quali confluiscono in un unico slancio di reciprocità infinita che li rende una forza potentissima in grado di affrontare qualsiasi ostacolo, che si rimpicciolisce davanti al potere della loro unione.
È uno di quei purtroppo non proprio frequenti casi di unioni in cui la coppia raggiunge un valore assoluto che supera ed esalta quello individuale, consentendo a quest’ultimo di mantenere una propria dignità. Tale legame costituisce un vero e proprio castello, una fortezza solida, molto più difficile da espugnare, che in qualche modo diventa esso stesso una protezione rispetto a una società o una famiglia che non li riconosce più come individui. È un amore talmente profondo che si autoalimenta, che è fatto di condivisione totale, di costruzione, di gestione dei conflitti, di una sessualità che si mantiene in quanto estensione naturale di quell’amore nello spazio e nel tempo, indipendentemente da qualsiasi limite fisico, di cura, di infinita cura di uno verso l’altra; e non importa chi dei due sarà il primo a perdere autonomia e ad aver bisogno di sostegno, perché è proprio il sentimento che li lega a consentire di tollerare le frustrazioni potenzialmente impossibili da sopportare, come la consapevolezza di perdere se stessi, la propria memoria, le proprie facoltà o l’esperienza di vedere che la persona che ami non ti riconosce più, che non si ricorda il nome dei figli avuti, che si dimentica che ti ha amata e che ti ama. E invece è proprio la certezza di essere amati, quella sicurezza che si è costruita che ormai si percepisce a pelle, si conosce, si odora, se ne è colmati, che spazza via qualsiasi malattia, qualsiasi perdita di memoria, qualsiasi sfiducia, e allora sono sufficienti cinque minuti di lucidità per riconoscersi e trarne tutta la forza che serve per andare avanti sino alla fine.
“Sono così felice quando ritorni da me…”
“Il mio John è un altro… lo rivoglio, tu me lo hai rubato e ora me lo devi ridare”
“Dio sa quanto lo vorrei, chiunque lo abbia rubato a te lo ha rubato anche a me”.
Non c’è niente di peggio del veder sparire la persona che si ama, del vederla diventare qualcun altro, qualcuno che non si ricorda di te e di quello che prova, di quanto e come ti ha amato, del vedere sparire tutti gli elementi che sono riferimenti comuni, che consentono quel riconoscersi naturale che è alla base del legame. È qualcosa che fa svanire la terra da sotto i piedi, che crea un disorientamento e una destabilizzazione che distruggono ogni sicurezza di sé e della propria forza.
Ma Ella e John hanno costruito insieme qualcosa che supera tutto questo, che supera le perdite di memoria di lui, il tumore di lei, l’apprensione dei figli, che oltrepassa i loro limiti fisici, che vince anche sull’inevitabile, rendendolo meno terribile e doloroso, quel qualcosa che probabilmente è l’unica cosa per cui vale davvero la pena vivere.