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Conversation

Intervista a Maurizio Tesei, protagonista de Il contagio, l’ultimo film di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, presentato alle Giornate Degli Autori

Dopo l'anteprima de Il contagio, abbiamo incontrato Maurizo Tesei per farci raccontare com'è stato lavorare in un set così importante

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Dopo aver lavorato in teatro e in televisione Maurizio Tesei si è imposto anche nel cinema, diventando l’attore feticcio dei registi Matteo Botrugno, Daniele Coluccini per i quali ha recitato in Et in terra pax e soprattutto ne Il contagio, appena presentato alla 74 Mostra del cinema di Venezia nell’ambito delle Giornate degli autori. Dopo l’anteprima del film lo abbiamo incontrato per  farci raccontare com’è stato lavorare in un set così importante.

Non è la prima volta che reciti in una trasposizione del romanzo di Walter Siti, avendo fatto parte della compagnia di Nuccio Siano che nel 2008 aveva  portato a teatro Il contagio. Immagino quindi che sia un testo al quale sei  molto legato.

Si è verissimo. A mio avviso Siti ha una penna meravigliosa, coinvolgente, dura. Ricordo che per leggere il primo capitolo del libro mi ci sono voluti due giorni. Crudo, cinico, Siti espone in maniera diretta, dettagliata. Se non avessi dovuto leggere per forza, dato l’imminente inizio delle prove dello spettacolo, confesso che probabilmente non avrei mai finito il libro. Mi sarei fermato al secondo capoverso. Fortunatamente, come in tante cose, se vai a fondo, la vita ti sorprende. Il  linguaggio del romanzo ben presto è diventato familiare, così dopo aver passato l’esame del primo capitolo, il resto del libro si è lasciato divorare nei 3 giorni successivi. C’è anche da dire che Siano inizialmente a noi attori aveva proposto una serie di letture da portare in scena, anche se nel cuore, aveva già l’idea dello spettacolo. Diceva sempre “io non so cosa sarà questo spettacolo…ma Lo So!”. E Dio sa quanto era vero. Ognuno di noi attori ha dovuto, in prima battuta, ricercare, ricostruire, il proprio personaggio, risfogliando le parole del libro. Abbiamo riscritto, con un partecipatissimo taglia/cuci/incolla la Storia già esistente di ognuno, ma frastagliata nella narrazione del mosaico di Siti. Questo ha permesso un ulteriore fusione col testo, e dopo lo spettacolo, Il contagio, è diventato più che mai, uno dei tasselli più importanti della mia carriera artistica, rappresentato al teatro Nuovo Colosseo (ormai chiuso), in cui tutto ebbe inizio.

Avendo letto il romanzo di Siti, volevo chiederti quali sono state le differenze tra le due versioni. Quella cinematografica lascia fuori campo le pagine più forti del libro.

Beh, in realtà anche nel film le scene forti non si fanno desiderare. Sono solo narrate in modo diverso, ma questo non perché i registi, Botrugno e Coluccini, abbiano timore di urtare la sensibilità del pubblico, al contrario! Questo è proprio il loro modo di accarezzare quella sensibilità, di trasportarla dalla platea, fin dentro il film. Credo comunque che il lungometraggio restituisca due cose molto importanti dell’opera di Siti, e precisamente la necessità di raccontare e l’anima che c’è dietro a quello che viene raccontato.

Il romanzo di Siti racconta la borgata come una specie di terra di nessuno in cui vige la legge del più forte. Sesso, droga e potere sono raccontati senza alcuna reticenza e in un modo che a me ha ricordato il Pasto nudo di Burroughs. È una realtà che conoscevi prima di conoscere il romanzo di Siti oppure ne sei venuto a contatto per questioni di lavoro?

Sono nato e cresciuto in borgata. Conosco il suo cinismo, la sua durezza, il suo calore, la sua onestà, la sua difficoltà. Conosco la sua gelosia, il suo menefreghismo. La sua superficialità, il suo prendere sul serio qualunque cosa. Sono figlio delle sue contraddizioni, delle sue grida, della sua apatia. Ho conosciuto il profumo della sua inevitabilità. Ma ogni borgata ha la sua realtà!

Per Matteo Botrugno e Daniele Coluccini sei una sorta di attore feticcio, avendo recitato in entrambi i loro film. Nel caso de Il contagio ha contato di più il legame artistico che hai stabilito con loro o il fatto che conoscevi già la materia?

Entrambi. Loro sapevano la mia preparazione in materia, e hanno pensato che potessi essere giusto per il ruolo. È meraviglioso l’ambiente che riescono a creare ogni volta Botrugno e Coluccini. Armonia e coesione.

Rispetto a Et in Terra Pax che mi sembrava un film più immediato e selvaggio, Il contagio ha una messinscena più elaborata che tiene conto di essere derivato dalle pagine di un romanzo. Volevo chiederti se hai sentito sulla tua pelle questa differenza, e se ciò ha comportato delle varianti nel tuo modo di recitare.

Devo dire che sulla mia pelle sento la differenza in ogni lavoro che faccio, e questo dipende ovviamente da molti fattori. In primis il personaggio che mi trovo ad interpretare; poi la storia che stiamo raccontando; ancora il contesto, insomma, diciamo che ogni volta è un caso a sè stante, unico e irripetibile che provoca vibrazioni diverse sulla mia pelle. Il mio modo di recitare varia secondo le varie richieste del regista. Non tutti lavorano allo stesso modo. La cosa fondamentale è che alla base ci sia una totale fiducia nei confronti di chi ti dirige.

La parte di Mauro ha un importanza fondamentale nell’economia del film, perché rispetto agli altri personaggi è l’unico che, seppur temporaneamente, riesce a uscire dalla borgata, guadagnandosi la possibilità di una posizione sociale agiata e riconosciuta. Come hai lavorato per far convivere le due anime del personaggio e, più in generale, qual’è il metodo che usi per entrare nella parte?

Non credo che Mauro abbia più anime, credo piuttosto che ne abbia una sola, ma molto tormentata! Mauro è diverso sia nelle situazioni sia nelle varie relazioni. A volte basta ascoltare chi hai davanti, ogni persona provoca reazioni diverse. Il lavoro per vestire i panni di Mauro è stato lungo e molto divertente, come tutti i lavori lunghi e complessi! Poi in questo caso mi è stato richiesto un lavoro per me inedito, poiché i registi mi hanno proprio detto di non cercare Mauro al di fuori di me “Mauro sei tu, però fa le cose che fa”. Non è mica semplice essere/non essere se stessi!

Comunque non ho un metodo in particolare per entrare nella parte, mi piace calmarmi nelle situazioni e giocare ad essere altro da me. Ì bambini che giocano agli indiani e ai cowboy…sono indiani e sono cowboy, non fanno mica finta! Il lavoro fondamentale sicuramente è la lettura del testo, ma questo quando si hanno registi con le idee chiare è tutto molto più semplice!

Tu, Vinicio Marchioni e gli altri attori vi siete ispirati a qualche modello cinematografico? A me viene in mente Mean Streats di Martin Scorsese che è forse un paragone troppo facile. 

Non so gli altri. Lavoro sul testo con i registi ne è stato fatto tanto. Mi piace pensare che ognuno di noi si sia ispirato a se stesso. Poi, sai, a volte le ispirazioni più belle si iscrivono nel subconscio senza che neanche ce ne rendiamo conto…chissà!

I personaggi che hai recitato nei film di Botrugno e Coluccini nascono dallo stesso contesto. Anche a livello produttivo la borgata e i suoi abitanti sono sempre di più oggetto di indagine filmica. Visto che te la cavi egregiamente sia nella parte del Marco de Et in terra pax, che in quello di Mauro, non temi che a lungo andare potresti  rimare incastrato all’interno di questo ruolo?

Innanzitutto ti ringrazio… Beh, comunque se restare incastrati in un ruolo significa restare incastrati in bei film, dove anima, corpo e cuore si offrono in sacrificio di una bella storia…che male c’è? È poi Marco di Et in terra pax, non è Mauro de ll Contagio, non è Pino di Arance e Martello e non è Riccardo detto er Biondo di Lo chiamavano Jeeg Robot. Roma è piena di romani…ma non mi sembrano mica tutti uguali! E poi mi affido sempre al sapiente sguardo dei registi!

Per finire volevo chiederti qual’è il tuo cinema di riferimento e quali sono gli attori a cui guardi nel fare il tuo mestiere.

Anche qui non ho dei riferimenti particolari. “Mi piace il cinema americano”, si può dire? Sarà che il primo amore non si scorda mai! Attori oserei dire tutti! A volte vedi un gesto, magari di una comparsa in un film che neanche ti piace, e pensi che potrebbe andar bene per il personaggio che stai preparando. Poi si tratta solo di rielaborare ed integrare! Come dice Woody Allen “Whatever Works”.

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