Capitano i periodi un po’ storti nella vita di tutti i giorni. Quei giorni lì, quelli in cui senti che ogni cosa pare remare contro e che la vita prende quei remi e te li la spacca sul collo. A Bradley Thomas (un sorprendente Vince Vaughn) accade proprio questo. Sì, lui è un tipino difficile ma non è che la misera quotidianità gli passeggi accanto con leggiadria e spensieratezza. Bradley (non Brad) è tosto ma non stupido. Ha il tatuaggio sul cranio pelato come il Mads Mikkelsen di Pusher II, ma con la non poco sostanziale differenza che, quando gli butta male, ti scardina la macchina a mani nude, se non peggio. Ecco quindi: Brawl in Cell Block 99 di Zahler, storia di un uomo per niente sciocco in un contesto selvaggio.
Proiettato alla 74a Mostra del Cinema di Venezia in orario extra notturno e coi protagonisti in sala, Brawl in Cell Block 99 a luci accese è stato acclamato con un lungo e dovuto applauso. Merito di moltissimi pregi. Il lungometraggio di Zahler non fa sconti a nessuno e picchia duro, ma senza un atto puerilmente gratuito che in un film di genere come questo ci poteva anche stare. La violenza è gratuita quando è parossistica all’interno del contesto. In Brawl in Cell Block 99, invece, è necessaria (attenzione: parliamo di cinema) e regala allo spettatore più collaudato parecchie soddisfazioni. Quei momenti in cui dopo insopportabili momenti di criminale ingiustizia ti mostra come il cattivo possa essere più cattivo dei cattivi. E tu tifi per lui. Per quanto all’inizio appaia un bisteccone insopportabile, Bradley si conquista pian piano il nostro paradossale affetto. Si conquista, da parte del pubblico, l’empatia. Più Bradley rotola nelle scale dell’inferno, più noi siamo con lui. Sentiamo il fetore nelle sue quattro luride mura e avvertiamo – ogni volta con maggior irritazione – quelle scosse elettriche della giustizia ignorate da Amnesty International. Matura nello spettatore il bisogno di giustizia in un contesto di totale follia. La giustizia, per Bradley, si sviluppa nel sentimento. La sua violenza cresce nell’affettività. La sua giustizia trova nei sentimenti il carburante. Il folle cortocircuito di una variazione diatopica che ha per nocciolo gli stati d’animo primigeni. Insomma, la violenza di Bradley germoglia in quel sentimento portante: l’amore, sì, amore, una parolaccia in un film di questo tipo. Questa apparente antitesi fa di Brawl in Cell Block 99 un’opera elementare nella struttura ma allo stesso tempo espressiva in cotale conflittualità.
L’occhio umano ha la capacità di sintetizzare e catalogare le immagini che percepisce, un qualcosa di elementare può – come direbbe il filosofo Bataille – divenire osceno. Una cosa altra che conduce alla repulsione. Seguendo sempre il filosofo francese, la repulsione per essere oscena deve anche affascinare. Zahler fa esattamente questo: la repulsione oscena della violenza finisce per affascinare. Non a caso nei momenti topici, il pubblico durante la proiezione alla Mostra di Venezia non si è trattenuto ed ha applaudito in quei gli attimi di oscena violenza. Bradley picchia come un fabbro? Il pubblico ne gode. E non ne gode perché è pazzo, ma perché a questo ti porta il gran bel film di Zahler. Violenza tra maschi contro maschi, tra colpi assestati e respinti (notevoli, davvero, quei momenti così nudi e veri). Una violenza per la violenza in una difficile rincorsa alla giustizia.
Ora, quindi, si potrebbe pensare che Brawl in Cell Block 99 è un film di maschi sudati, muscolosi e puzzolenti. Un film maschile e razzista ove la donna è un orpello, un suppellettile, un espediente buono solo a sfornare figlioletti e a cucinare e senza esagerare con l’uso del coltello. Ma questa lettura sarebbe troppo superficiale. Tutto ciò che Bradley fa ha per motore il femminile ed il femminile (Jennifer Carpenter), la donna non è un ornamento narrativo, non è una donna che fa l’uomo ma è una donna che è una donna. Una donna che è donna anche quando fa “cose da uomini” e non solo una woman in prison. La Carpenter in tal guisa avrebbe lavorato bene con Russ Meyer. Brawl in Cell Block 99 più che un cinema senza donne è perciò un film mosso dalla femminilità. Quindi la distruzione meravigliosamente folle di Bradley oltre a non essere folle non è maschile nel midollo ma femminile nelle motivazioni.
Brawl in Cell Block 99 è un intelligente film d’exploitation che non deve far pensare al mondo di Tarantino (basta pensare ciò, all’infilarci sempre in mezzo Tarantino manco avesse inventato il cinema) o di Carpenter (nonostante la Carpenter), ma è un film che andrebbe letto per quel che mostra, per quel che sviluppa. Per come si delinea nel cammino con la fisicità di un Vince Vaughn allenato da uno Steven Seagal dei tempi migliori. Tante mazzate, insomma, mazzate vere che non lasciano nulla all’immaginazione. Colpi bassi che però vivono anche di una certa dose di ironia, di sarcasmo, di voglia di giocare al non sbattere le ciglia senza resistere contemporaneamente alla tentazione di fare un occhiolino.
Zahler nel suo genere ha realizzato un film perfettamente in linea con il mondo di gente che si mena ove, se proprio vogliamo fare paragoni (ma perché?), si è più dalle parti di un maestro come Cronenberg e dalle parti di a A History of Violence. L’uomo costretto, per difendere ciò che ama, a tirare fuori da sé la belva. Zahler controlla perfettamente un film di “serie B”, mettendovi dell’altro, inserendo un personaggio come Bradley che è un Bronson (NWR) più intelligente, più raffinato, più simpatico. E ugualmente tormentato. Brawl in Cell Block 99 è, quindi, un gran film, che scorre via con dolore e ossa spezzate. In un’edizione dark della Mostra del Cinema di Venezia, sarebbe sicuramente tra i papabili vincitori, assieme al più raffinato e altrettanto bello (ma siamo su un altro genere) Three Billboards Outside Ebbing, Missouri. Film dove la violenza (cinematografica) ha un senso diegetico, ma soprattutto costituisce un creare dell’ottimo cinema che scorre con apparente leggerezza ma che dentro, a ben pensarci, racchiude un mondo: il nostro, quello interiore. Detto ciò, Bradley Thomas ti vogliamo bene.