Marvin Bijou (Gioiellino in italiano), diventato poi Martin Clement, è un ragazzino asciutto, esile, efebico. Dai capelli rossi, a scuola viene costantemente bullizzato da un ragazzo, possibile represso, visto che le violenze subite sono tutte di natura sessuale. L’arrivo della nuove preside, Madeleine Clement (nome al quale si ispira il cambio anagrafico di Marvin) funge da ancora di salvezza per il ragazzo, cresciuto nella svogliata provincia francese e membro di una famiglia composta da zoticoni (il padre Dany e il figlio di primo letto Gerald) e figure apatiche: la madre Odile, totale menefreghista sulla condizione dei figli (c’è anche il piccolo Remy), interessata unicamente al tabagismo e alle feste paesane.
Per puro caso, Madeleine Clement avvicina il ragazzo all’arte della recitazione. Capendo il talento del piccolo Marvin, lo sprona affinché si iscriva a un corso teatrale, abbandonando così luoghi e persone che non possono dargli gli stimoli culturali e vitali necessari, a partire dalle insinuazioni omofobe del padre e del fratellastro maggiore per via della sua sensibilità artistica.
Gli anni passano e Marvin, ormai Martin, si è trasferito a Parigi. La sua identità sessuale ha superato lo scoglio personale trovando solidità. E grazie a Roland, dongiovanni maturo e facoltoso, si avvicina al mondo della Parigi ‘bene’. Tra resort con piscina e feste in terrazza, Roland presenta Isabelle Huppert (nel ruolo di se stessa) a Marvin. Il giovane, timidamente, le illustra un possibile progetto, un monologo sulla condizione castrante che ha subìto in famiglia. Huppert ne rimane colpita, tanto da voler interpretare il ruolo di Odile a teatro.
Anne Fontaine (la regista del recente e notevole Agnus Dei, 2016) sviluppa un racconto in chiave omosessuale, ricalcando il metodo dei romanzi di formazione. La storia procede su due binari complementari e alternati: nel primo troviamo Marvin bambino (Jules Porier) con i primi pruriti sessuali e l’acerba ingenuità dell’adolescenza; nel secondo il Marvin uomo (Finnegan Oldfiled) altrettanto timido nei confronti della vita, ma deciso nel voler proseguire i propri obiettivi finali. Forse per dimostrare alla sua cafonissima famiglia quanto, in realtà, valga come persona e artista. E volendo così sensibilizzare chi sta vivendo le sue stesse condizioni passate.
Ma è anche grazie a due icone femminili se Marvin ha potuto completare il suo percorso, Madeleine Clement (una Catherine Mouchet dal vago sapore di Charlotte Rampling) e Isabelle Huppert, la duttile, cinica, concreta Huppert post-Verhoeven. Due surrogati di madre che hanno ‘reciso’ il cordone ombelicale con quella naturale, lasciando Marvin libero prima di venire stritolato dall’insulsaggine più profonda della provincia. L’estro è riuscito a prendere il posto della frustrazione, finalmente.
Marvin è un film gradevole che si inserisce nella categoria del cinema LGBT, ma senza andare verso cliché che spesso e volentieri possono infastidire. Niente viene estremizzato o ridotto al macchiettismo. Ogni ruolo e ogni tassello della storia risultano al proprio posto (la sceneggiatura è della stessa Fontaine con Pierre Trividic); ordine e delicatezza, con dialoghi ironici ben calibrati, diventato il veicolo adatto per affrontare questi, a volte spinosi, argomenti.