Pochi giorni fa si è conclusa la settima stagione di Game of Thrones, da noi meglio conosciuta come Il Trono di Spade. Il finale della penultima annata della serie tv prodotta dalla HBO e ideata da David Benioff e D.B. Weiss a partire da Cronache del ghiaccio e del fuoco, il ciclo di romanzi fantasy scritti da George Raymond Richard Martin, ha fatto registrare ovunque il record assoluto di ascolti. Basti considerare, per restare solo agli Stati Uniti, che ogni singolo episodio di questa stagione è stato visto da oltre trenta milioni di spettatori (il pubblico è raddoppiato nel giro di pochi anni). Ci troviamo davanti a un fenomeno di massa che ha pochi eguali al mondo, attestato e certificato dal fatto che si tratta della serie tv più scaricata illegalmente a livello planetario, con numeri ben al di sopra di qualunque blockbuster o cinecomic americano.
La settima stagione può vantare anche un altro record, positivo o negativo che sia poco importa: si tratta dell’annata più discussa e criticata di sempre, capace come non mai di suscitare accesi e infuocati dibattiti sui social, con sostenitori e detrattori pronti a prendersi a male parole o a spoilerare al malcapitato di turno, reo di non essere in pari con l’ultimo episodio andato in onda, gli avvenimenti più importati appena trasmessi. Sostanzialmente ciò che indispettisce una buona parte dei fan della saga fantasy, delusi dalla piega che hanno preso gli avvenimenti narrati sul piccolo schermo, esalta e fa gioire i sostenitori irriducibili.
Le critiche principali sono rivolte soprattutto al notevole cambio di marcia della settima stagione, con un ritmo e un andamento narrativo aumentato in modo considerevole, al punto da racchiudere in un singolo episodio eventi che nelle annate precedenti erano diluiti in almeno due-tre puntate. Come tutti ormai sapranno gli avvenimenti messi in scena a partire dalla sesta stagione hanno superato a livello cronologico i romanzi di Martin, ancora fermo al quinto capitolo della saga (pubblicato nel 2011). Lo scrittore statunitense ha fornito indicazioni e linee guida agli autori della serie in modo da consentire loro di portarla a termine entro il 2019, anno in cui probabilmente dovrebbe uscire l’ottava e ultima stagione, suddivisa in soli sei episodi che nelle intenzioni degli autori dovrebbero avere una durata considerevole, intorno agli 80/90 minuti cadauno e con una puntata finale di ben due ore per poter chiudere nel migliore dei modi la saga fantasy che da sette anni tiene inchiodati al piccolo schermo milioni e milioni di persone.
Da quando la serie della HBO ha oltrepassato gli eventi narrati nel ciclo di romanzi sono cominciati i malumori dei fan della saga letteraria, infastiditi – dal loro punto di vista a ragione – dal fatto di dover assistere alle annate finali ancor prima di poter leggere gli ultimi due, attesi e agognati, capitoli che Martin pare rimandare sempre più in là. In molti hanno trovato poco plausibili alcuni passaggi narrativi di questa settima stagione, soprattutto per quanto concerne i movimenti spaziotemporali e i tempi di percorrenza di alcuni personaggi. La cosa fa un po’ sorridere se si pensa che in fondo stiamo pur sempre parlando di una serie ambientata in un universo fantasy che richiede per forza di cose una certa propensione alla sospensione dell’incredulità da parte del pubblico. Se non si batte ciglio nel vedere svolazzare tre enormi, possenti e minacciosi draghi sputafuoco e nell’assistere alla terribile e inesorabile avanzata degli Estranei, ovvero di un esercito di non morti, è strano che si facciano le pulci per il tempo impiegato da un singolo personaggio per spostarsi da un punto a un altro.
È innegabile che Game of Thrones sia cambiato rispetto alle annate precedenti, è divenuto ancor più spettacolare come dimostrano gli incredibili ed esaltanti quindici minuti finali del quarto episodio (The Spoils of War) o l’alto tasso di epicità che contraddistingue il sesto (Beyond the Wall), si è fatto più lineare e diretto e meno complesso a livello narrativo. Il cambio di ritmo è stato dettato anche da un minor numero di episodi – solo sette al posto dei dieci delle stagioni precedenti – e dall’approssimarsi della fine della saga che obbliga gli sceneggiatori a chiudere la varie trame e sottotrame.
Un altro aspetto di quest’ultima stagione che ha deluso parte dei fan è la (quasi) totale assenza di dipartite illustri e per questo ancor più scioccanti a cui ci avevano abituato gli ideatori, pronti negli anni passati a far uscire di scena in modo cruento e inaspettato alcuni dei personaggi principali de Il Trono di Spade. Anche in questo caso è probabile che gli autori abbiano voluto rimandare alcune uscite di scena alla season finale in cui, secondo chi scrive, vedremo cadere come mosche diversi protagonisti. Non resta dunque che prepararsi alla lunga e sfiancante attesa che ci separa dall’ottava stagione, con la speranza di poter assistere ad una annata conclusiva epica, sanguinaria e spettacolare che ci svelerà chi sarà a sedersi sul Trono di Spade, a meno che – occhio al potenziale spoiler! – gli Estranei non facciano piazza pulita dei vari pretendenti.