Susanna Nicchiarelli torna sugli schermi veneziani dopo diversi anni, l’ultima volta fu nel 2012 con Sputnik 5, cortometraggio che vinse un Nastro d’argento. La vita di Nico, all’anagrafe Christa Päffgen, tedesca d’origine, è stata ricca e intensa: un oceano di emozioni accavallate, atte a formare un intreccio indissolubile tra musica, droga e (dis)illusione. Nicchiarelli sceglie di focalizzarsi sugli ultimi tre anni di vita della cantante. Musa di Andy Warhol, compagna di Brian Jones e Alain Delon, conosciuta ai più per il periodo di collaborazione con i Velvet Underground, poi interrotto nel 1968. Morta a Ibiza il 18 luglio 1988, a soli 49 anni, per emorragia cerebrale a seguito di una caduta in bicicletta. E incarnata dalla brava Trine Dyrholm, danese, che ha reinterpretato le canzoni presenti, adattate dal gruppo torinese Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo.
Il film si apre con l’immagine di Nico nel 1986 a Manchester. Durante un’intervista radiofonica, il conduttore le chiede del rapporto con il gruppo musicale di Lou Reed. Lei, seccata, con sigaretta sempre stretta tra le dita, assorta nei suoi pensieri decadenti, lontana ormai dai servizi di fotografici patinati e dai fasti vissuti lungo gli anni Sessanta, risponde: «Non voglio parlare dei Velvet Underground. Non voglio essere chiamata Nico, ma Christa. E voglio parlare della carriera che ho avuto dopo il mio allontanamento dal gruppo. Voglio parlare della mia musica!».
Consapevole della sua trasformazione fisica, schiava della siringa, morbosamente attaccata all’unico figlio, Ari (avuto da una relazione con Alain Delon e mai riconosciuto da quest’ultimo), Nico sta affrontando, con la sua scalcinata band, un tour europeo tra Parigi, Nuremberg, Manchester, la costa laziale e Praga. In un certo senso, la sua vita può essere analoga a quella di Anita Pallenberg: dal capello biondo (poi Nico virò sul castano) alla condivisione dello stesso Brian Jones; elette a muse del rock dagli stessi personaggi con i quali hanno condiviso relazioni affettive (Pallenberg) e professionali (Nico).
Sono almeno tre, le sequenze da brivido in grado di far trapelare quanto il personaggio riesca a trasmettere godimento viscerale del proprio carisma. La prima è durante la tappa di Anzio, quando avviene la cena a base di bucatini all’amatriciana (cucinati da Domenico, l’ultimo uomo che riuscirà a dar un afflato di sentimento alla cantante) innaffiati da limoncello fatto in casa. Connubio impensabile per noi italiani, ma gustosissimo per lei. C’è il concerto clandestino organizzato a Praga in cui Trine Dyrholm canta divinamente My Heart is Empty mentre è in crisi d’astinenza da eroina. Lodevole, poi, il montaggio che alterna di continuo l’esibizione all’arrivo delle forze dell’ordine pronte alla rappresaglia. Infine, la fuga da Praga su un vecchio furgone Ford. Mentre la band attraversa le campagne si imbatte in una fiaccolata per il giorno dei morti. In sottofondo Big in Japan degli Alphaville il cui volume cresce sempre più. Stacco. Nico è fuori dal furgone e ha un forte conato di vomito giallo-verde stile Linda Blair: interessante quanto inaspettato perché, sì posticcio, ma non gratuito.
I colori lisergici della fotografia, curata da Crystel Fournier, fanno il resto. La biografia di un personaggio la possiamo conoscere tutti, basta consultare Wikipedia. In questo caso, però, Nico, 1988 risulta veicolo per leggere e capire, attraverso la chiave di una finzione ottimamente curata, un’artista come lei. Non c’è motore di ricerca che tenga.