Woody (American Masters: Woody Allen – A Documentary), un documentario del 2012 diretto e sceneggiato da Robert B. Weide, è stato presentato al Festival di Cannes nello stesso anno. Distribuito nelle sale italiane il 21 settembre 2012. Documentario incentrato sulla carriera di Woody Allen attraverso interviste, filmati di repertorio e spezzoni tratti dai film. Il documentario è arrivato nelle sale italiane il 21 settembre 2012, distribuito dalla BiM. In Italia è uscito in entrambe le versioni: quella vista al cinema e, successivamente, quella completa della durata di più di tre ore (edita dalla Feltrinelli insieme ad un libro per la collana Real Cinema).
Al di là del pensiero soggettivo sulle opere realizzate o sulla movimentata vita privata, Woody Allen è di certo una leggenda del cinema internazionale e per la prima volta in assoluto a qualcuno viene concessa la possibilità di seguirlo da vicino mentre è al lavoro sul set: dalla realizzazione di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni fino alla prima proiezione pubblica di Midnight in Paris, il regista Robert B. Weide rimane al fianco di Woody Allen per documentarne il genio creativo. A far da cornice al tutto, vi sono poi le interviste che Weide realizza agli amici di Allen, compresi gli attori che hanno avuto il piacere di essere da lui diretti nel corso della sua lunga carriera.
La recensione di Taxi Drivers (Boris Schumacher)
Woody è stato presentato in anteprima nazionale all’interno del Tribeca Firenze, la prima edizione del festival del cinema nato dalla collaborazione tra Tribeca Enterprises e il prestigioso The Tuscan Sun Festival. Si tratta di un docufilm biografico, autorizzato dallo stesso Allen, realizzato dal regista Robert Weide che ha potuto seguire per più di un anno e mezzo il grande artista newyorkese. La pellicola, presente nella sezione “Cannes Classics” all’ultima edizione della kermesse francese, si sofferma principalmente sulla carriera artistica di Woody Allen ed evita quasi completamente d’indagare gli aspetti della sua vita sentimentale. Scelta dettata senz’altro dalla proverbiale riservatezza del regista newyorkese che, come detto in precedenza, ha dato il suo beneplacito a questo progetto.
Nato a Brooklyn nel 1935 col nome di Allan Stewart Konigsberg, ci viene descritto come un bambino tanto vivace quanto svogliato nell’ambito scolastico che, da adolescente, cominciò a scrivere divertenti articoli e freddure per diversi giornali con lo pseudonimo di Woody Allen. Egli stesso ci conduce sui luoghi della sua infanzia e ci mostra la casa dove è nato e la macchina da scrivere utilizzata fin dalle prime sceneggiature. Dopo gli inizi nel mondo dello spettacolo come stand up comedian, ruolo mai amato a causa della sua proverbiale timidezza, arriva ben presto nel mondo del cinema interpretando i primi ruoli comici. La svolta arriva nel 1969 quando scrive, dirige e interpreta Prendi i soldi e scappa; il film ottiene un grande successo e segna l’inizio di un periodo molto ispirato per Allen che da adesso in poi avrà sempre il pieno controllo delle sue opere, senza le interferenze degli studios, assai diffuse e frequenti nel sistema produttivo hollywoodiano. Dopo una serie di film comici Woody cambia in parte registro e realizza un’opera più profonda e matura come Io & Annie a cui seguirà Interiors, il suo primo film drammatico.
L’aspetto più interessante del documentario di Weide è quello incentrato sulla prima parte della carriera artistica del regista e interprete americano. Impossibile non provare ammirazione e nostalgia per l’incredibile sequela di grandi film realizzati fino ai primi anni novanta, da Manhattan a Zelig, da La rosa purpurea del Cairo a Crimini e Misfatti. Il limite dell’operazione di Weide sta invece nell’aver omesso quasi completamente le produzioni meno felici e ispirate di Allen, dalla seconda metà degli anni novanta fino al risveglio artistico nel 2005 con Match Point, il film che dà il via alle sue produzioni europee con la scoperta della nuova musa Scarlett Johanssonche ritroveremo poi in Scoop e in Vicky Cristina Barcelona. Del decennio intercorso tra La dea dell’amore e Match Point si cita solo l’opera più riuscita, Accordi e disaccordi, con una diretta testimonianza del protagonista Sean Penn. Un altro aspetto appena accennato e non approfondito è la scabrosa vicenda legata alla nascita della relazione con Soon-Yi , la figlia adottiva di Mia Farrow.
Nel complesso ne viene fuori un ritratto interessante e a tratti divertente sull’autore di origine ebraica, con le sue tipiche nevrosi e ossessioni che sembrano appartenere anche all’uomo e non solo al personaggio, arricchito da sequenze di show televisivi dove lo vediamo da giovane in un incontro di pugilato con un canguro o alle prese con un cane che canta. Un cineasta capace di rinnovarsi e di evolversi a livello artistico, che ci ha regalato dei ritratti femminili davvero unici e sorprendenti, soprattutto grazie all’incontro con Diane Keaton, la sua prima musa che s’innamorò di lui a prima vista e lo aiutò a trasporre sullo schermo il punto di vista femminile.