Il cinema di Christopher Nolan è famoso in tutto il mondo per essere ante litteram e super partes. Non rispetta alcun canone e oltrepassa i confini di ogni genere divenendo esso stesso un genere a parte. Egli infatti si avvicina a una precisa categoria cinematografica e la sconvolge dall’interno, sovvertendone temi e stilemi. Fonde in modo indissolubile fabula e intreccio portando lo spettatore a dimenticare che esistano i confini tra l’uno e l’altro, confondendoli e, al tempo stesso, cullandoli nell’illusione che sia tutto un (loro?) sogno onirico, frutto di un’immaginazione funambolica e ipnotica. Usufruisce dell’immaginario collettivo ma soltanto per dare la propria versione dei fatti, che, puntualmente, vengono dilatati, spezzettati e rimescolati come tasselli di un puzzle.
Unendo la spettacolarità mastodontica del cinema hollywoodiano con la raffinatezza eclettica ed egocentrica di quello europeo, Nolan ha firmato pellicole come Memento, Inception e la trilogia del Cavaliere Oscuro, dimostrando senza mezzi termini di saper trasformare facilmente un uomo per bene in un assassino, un architetto in un ladro di sogni, un eroe in un mostro. Capace quindi di sposare la causa dei suoi protagonisti pur rimanendo onniscentemente al di fuori della vicenda, decide di portare sul grande schermo un evento reale: la battaglia di Dunkirk avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale e necessaria all’Inghilterra per avere il coraggio di non arrendersi ai nazisti.
Sarebbe stato troppo facile raccontare linearmente l’impresa eroica di soldati comuni, cavalieri anonimi di un epopea storica ed epica senza precedenti. Non sarebbe stato un film alla Nolan, però. Né per Nolan. Ecco perché il regista decide di fondere i quattro elementi naturali, terra, acqua, aria e fuoco, in un unico spazio-temporale invalicabile, etereo, unico. Nonostante per molti versi, Dunkirk sia il film anti-nolaniano per eccellenza, è indiscutibilmente la sintesi perfetta di tutta la sua filmografia, l’apice estremo di un percorso coerente e lineare. Tornano infatti i temi a lui cari: quelli del doppio, della fusione di tempi e spazi differenti, dell’importanza della memoria e del valore della famiglia. In Dunkirk, insomma, c’è tutto quello che Nolan ama e odia, tutto ciò che la Storia vuole mettere in luce e quello che vuole nascondere, ogni cosa, insomma, che l’uomo comune ignora e ciò che invece dovrebbe conoscere.
Dilatando i pochi, ultimi, minuti di un aviatore per eguagliare le ore passate dai marinai in mare aperto aggrappandosi al più piccolo spiraglio di vita, e coniugarsi, poi, con le giornate in fuga di un qualsiasi soldato semplice, Nolan rende il tempo il vero protagonista della pellicola. L’incedere violento dei secondi di un cronometro, il ticchettio di una bomba, l’affannoso respiro degli ultimi istanti, accompagnano ogni personaggio della storia sin dai primi fotogrammi, ricordando allo spettatore che è tutto, sempre, questione di attimi. Non importa quanto la guerra brami il coraggio perché davanti alla minaccia di morte, ogni uomo svela il proprio istinto ferino, tenendo alla propria pelle, più che a qualsiasi legame patriottico che promette sogni, (vane) glorie e medaglie al merito. Dunkirk non è quindi, l’esaltazione di una mancata vittoria, è piuttosto la volontà di contenere la delusione di una sconfitta e trovare così, in mezzo a un catatonico e plumbeo marasma di corpi ammassati, la forza per continuare a sopravvivere in un mondo che va avanti, incurante di tutti quei militi ignoti che per lui hanno dato la vita.
Attraverso un caleidoscopio di emozioni, Dunkirk si rivela quindi una giostra a catenelle che, grazie alla fusione tra riprese in IMAX e 65 mm, porta lo spettatore a provare la più estasiante immersione totale che il cinema abbia mai conosciuto.