Vivere e morire a Los Angeles è un film del 1985 diretto da William Friedkin, tratto dall’omonimo romanzo scritto da Gerald Petievich, ex agente dell’United States Secret Service, il corpo di polizia federale che si occupa anche del contrasto alla contraffazione delle banconote. È considerato dalla critica come uno dei migliori film del regista statunitense e come uno dei polizieschi che hanno riscritto le regole del genere. La colonna sonora è stata composta dai Wang Chung.
Chance e Vukovich sono due agenti federali sulle tracce di un falsario di nome Eric Masters. Chance, che tra l’altro vuole vendicare un collega ucciso proprio da Masters, non esita a uscire dai binari della legalità pur di incastrarlo. Alla fine ci riesce, ma a un prezzo altissimo.
Chi ha visto e apprezzato il recente Drive (2011) e non ha ancora visto Vivere e morire a Los Angeles (1985), capolavoro di William Friedkin, farebbe bene a recuperare questo incandescente poliziesco. Nell’iridescente anfiteatro della città degli angeli si svolge la lotta senza quartiere tra il trafficante di denaro falso (e pittore d’avanguardia) Rick Masters e gli agenti dei servizi segreti Richard Chance e John Vukovich: pur d’incastrarlo, questi ultimi sono disposti a ricorrere ad espendienti al di là della legge. Ampliando un romanzo dell’ex-agente Gerald Petievich (l’attentato terroristico dell’inizio – che, con il senno di poi, pare nefastamente profetico – e l’incredibile inseguimento contromano non sono presenti nel libro), Friedkin gira un noir metropolitano tra i più secchi che si siano mai visti. Non un fronzolo, non un arabesco, non un orpello, non un’inquadratura più del necessario: persino i momenti d’introspezione sono filmati come se fossero una sparatoria. Eppure, dietro la superficie di un poliziesco convenzionale (ma non scontato), si nasconde un film ossessionante/ossessivo/ossesso che si staglia con impressionante struggenza nella filmografia più nobile di Friedkin. Film vibrante, corda perennemente tesa, martellato dalla colonna sonora di crescendo e percussioni dei Wang Chung, con un protagonista puro corpo dinamico (Petersen lavorerà con Friedkin anche nell’allestimento televisivo de La parola ai giurati, risultando forse il più insipido dello strepitoso cast) e un cattivo (ma chi è buono?) di mefistofelica grandezza, meravigliosamente fotografato da Robby Muller (fasto di condizioni e sorgenti di luce disperate, il sole e i neon…). In una parola: imperdibile.