Con Atomic Blonde di David Leitch siamo alle prese con una rivisitazione del film di spionaggio in ottica femminile. La spia inglese Lorraine Brougthon (Charlize Theron) viene incaricata dal direttore dell’MI6 di recuperare a Berlino una lista di tutti gli agenti sotto copertura in servizio, prima che cada nelle mani del KGB. E di trovare soprattutto una spia inglese doppiogiochista.
Ambientato nel 1989, alla vigilia del crollo del Muro che divide la città in due parti, la Guerra Fredda tra Usa e Urss è al termine dal punto di vista politico con la politica della distensione aperta dal presidente americano Ronald Reagan e dal leader sovietico Mikhail Gorbaciov, ma la lotta sotterranea condotta dai servizi segreti di entrambi i blocchi (quello occidentale franco-anglo-americano e l’altro sovietico) continua più che mai, per salvaguardare equilibri in continua metamorfosi, dove il confronto tra i vari personaggi è quasi un gioco al massacro con doppi e tripli cambiamenti di fronte, inaspettati e repentini.
Se eliminando una consonante – non si sa quanto inconsciamente aggiunta, visto che si è sempre parlato di un ruolo femminile per un prossimo film – la Theron reinterpreta a modo suo un Atomic B(l)ond decidendo di produrre direttamente la pellicola, dopo aver letto le bozze del romanzo a fumetti The Coldest City di Anthony Johnston. L’attrice sudafricana, naturalizzata statunitense, rimane affascinata da un periodo storico in cui si parla di divisioni politiche, di muri che separano città – molto sensibile al tema dell’apartheid vissuto direttamente nel suo paese di origine – e certamente la ricostruzione di una Berlino ormai relegata alla documentazione storica ha un certo fascino in un tempo in cui di muri – etici e fisici – si ergono un po’ dappertutto nel mondo contemporaneo.
Ma nella realtà, affidandosi a un regista come David Leitch – che ha diretto John Wick ed è stato un famoso stunt man, controfigura di attori come Brad Pitt e Matt Damon, e specialista di coreografie di combattimento – Charlize Theron focalizza l’attenzione dello spettatore sullo sviluppo cinematico di un corpo attoriale (il suo) che si fa strumento di trasmissione emotiva e fascinazione visiva continua, a discapito di una diegesi il cui sviluppo è, a tratti. un po’ contorto e comunque al servizio sempre della successiva sequenza in cui la nostra eroina affronta combattimenti corpo a corpo con le spie avversarie in modo selvaggio e realistico.
Atomic Blond potremmo riassumerlo tutto nell’eccezionale prova fisica dell’attrice sudafricana che crea un nuovo personaggio femminile forte e di un fascino contemporaneo come in Mad Max: Fury Road. Tanto brava da schiacciare persino un attore come James McAvoy (nel ruolo dell’agente a Berlino David Percival).
Peccato però che David Leitch non sia George Miller. Questo per dire che alla pellicola manca una sua coerenza interna d’insieme, una visione originale e personale. Sicuramente le sequenze dei combattimenti e degli scontri sono ottimamente coreografati e l’origine fumettistica nella scelta delle luci, costumi e scenografie viene utilizzata come uno stile distintivo in Atomic Blonde. Ma Leitch rimane un semplice esecutore al servizio della Theron e i pregi del film sopra elencati, alla fine, ne determinano anche tutti i suoi limiti.