As Boas Maneiras della coppia di registi brasiliani Juliana Rojas e Marco Dutra (autori anche della sceneggiatura e della colonna sonora) non solo sono un altro esempio della vitalità dell’industria dei paesi sudamericani (Brasile, Argentina, Cile) che in questi ultimi anni si sono inseriti sulla scena del cinema mondiale, ma anche un riconoscimento di una produzione di pellicole di genere che il Festival di Locarno ha coraggiosamente inserito nel Concorso internazionale, continuando una strada aperta qualche anno fa. Quindi, dopo neo noir, drammi, commedie, abbiamo anche un puro horror che gareggia per un premio finale.
E dobbiamo dire che As Boas Maneiras non sfigura affatto e un riconoscimento da parte della giuria non creerebbe alcuno scandalo, ma sarebbe un segno di un’affermazione dei film di genere come veicolo di qualità, innovazione e autorialità.
Tutti elementi che ci sono nel film di Rjas e Dutra che utilizzano scelte stilistiche molto contemporanee e riprendono stilemi all’interno di una corrente popolare per trasmettere contenuti attraverso lo spettacolo. Così abbiamo l’utilizzo di una fotografia, in una prima parte, dove si lavora molto sulla luce notturna con una saturazione dei colori verso toni scuri; una scelta di una scenografia artificiale nella seconda parte che dà un certo respiro visivo alla pellicola; l’inserimento di una sequenza a fumetti per narrare l’evento scatenante della diegesi filmica; il ribaltamento di registri tematici come l’amore lesbo, la rappresentazione di un’infanzia mostruosa, le citazioni dei classici nel finale.
As Boas Maneiras ha un inizio piano: Clara, una donna di colore della periferia di San Paolo, che ha studiato come infermiera, ma non è riuscita a diplomarsi, in difficoltà economiche riesce a farsi assumere come governate dalla ricca, giovane e bella Ana, incinta e che vive da sola in un lussuoso appartamento nel centro della città.
Siamo dalle parti delle storie sui licantropi – e un possibile modello dei registi brasiliani è Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis – dove la suspense cresce e viene costruita centellinandola in modo intelligente nella prima parte del film con un evento che dà una sterzata allo sviluppo narrativo. Dopo un’ellissi di sette anni, nella seconda parte, s’innestano elementi horror classici – Frankenstein di James Whale su tutti – su una trama di film per ragazzi, con la messa in scena di una comunità che solo apparentemente appare idilliaca.
Dietro però questa superficie, As Boas Maneiras mette in scena l’isolamento del diverso, il dolore per l’esclusione dalla società, la mancanza della figura paterna e, indirettamente, la defilata presenza di una religione ipocrita che procrea il male. La divisione in classi sussiste e Clara e Ana ne sono le loro rappresentanti, ma la lotta non avviene tra ricchi e poveri, al contrario: si assiste alla difesa estrema di una madre per il proprio figlio “diverso” contro tutti, l’intera società, in una lotta tra poveri che letteralmente produce un cannibalismo sociale.
Juliana Rojas e Marco Dutra riescono a controllare la complessità dei registri utilizzati e a dirigere un’opera superiore alla media, sfruttando in modo originale gli strumenti della macchina cinematografica e riuscendo a tenere in tensione lo spettatore per oltre due ore, crescendo nella sua mente anche dopo l’uscita dalla sala. E questo è già molto per qualsiasi tipo di film.