In prima mondiale è stato presentato il nuovo film di fantascienza Seven Sisters di Tommy Wirkola, coproduzione internazionale che sarà anche distribuito sulla piattaforma digitale di Netflix. Ambientato in un futuro distopico, siamo in un mondo sovrappopolato dove la carenza di risorse economiche ed energetiche sono all’ordine del giorno. Per alleviare questo problema si sono sviluppate le produzioni di alimenti OGM, geneticamente modificati, ma proprio il consumo di questi cibi ha come effetto collaterale le nascite plurigemellari. Alla fine una scienziata, Nicolette Cayman (Glenn Close) riesce a far varare una legge sul controllo delle nascite, imponendo il figlio unico, e creando il Child Allocation Bureau, una sorta di polizia politico-scientifica che cerca e cattura i bambini per poterli poi “congelare” in attesa di un futuro migliore.
Questo è il prologo e lo scenario di fondo su cui si muovono poi sette sorelle gemelle (interpretate tutte da Noomi Rapace) salvate dal loro nonno (Willem Dafoe) e segregate in un appartamento per nasconderle dalle grinfie della Cayman. Ognuna delle sette sorelle prende il nome di un giorno della settimana (da qui il titolo), così che possano uscire una sola volta, vivendo tutte la stessa personalità pubblica di Karen Settman, riuscendo a celarsi al Dipartimento del controllo delle nascite. Ma proprio la scomparsa di Monday scatena una reazione a catena che porta poi a una sconvolgente verità.
L’idea di partenza di Seven Sisters è di notevole interesse e attualità: il problema drammatico delle scarse risorse alimentari; la crescita incontrollata della popolazione mondiale; la legge del figlio unico che, ad esempio, in Cina è stata veramente attuata per molti anni risultando inefficace; il controllo poliziesco che si insinua fin dentro le mura domestiche. Insomma, molta carne al fuoco, con grandi potenzialità per un film che poteva rinverdire un tipo di fantascienza socio-politico caratterizzante i temi degli anni Settanta. Ma siamo lontani anni luce da 2022: I sopravvissuti di Richard Fleischer, a cui Seven Sisters è debitore fin dal twist finale, opera questa, a distanza di decenni, che non ha perso la propria forza e capacità di trasmettere emozioni.
Seven Sisters invece si perde in un tourbillon di sequenze di azioni, a dir la verità piacevoli e ben dirette, ma che relegano la bellezza della descrizione della realtà distopica a semplice orpello di causa-effetto narrativo, galleggiando su una superficie di una scenografia dal gusto camp che riprende il cinema degli anni Novanta di Paul Verhoeven (Robocop, Atto di forza, Starship Troopers).
Del resto, il regista di origini norvegesi Tommy Wirkola ha un gusto grossolano della messa in scena e una incapacità di visione organica della narrazione, tanto più che il film ha alcuni buchi di sceneggiatura che portano forzatamente al finale solo per giustificare la performance fisica di Noomi Rapace. L’attrice anche questa volta riesce fisicamente a reggere il personaggio, ma le manca quel talento attoriale per contraddistinguere psicologicamente le sette sorelle, risultando invece una clonazione visiva dello stesso personaggio.
Insomma, Seven Sisters ha una bella idea di base realizzata senza guizzi e in modo frettoloso, permettendone solo una semplice divertita visione, ma non lasciando alcun segno nel cinema di fantascienza contemporaneo.