Edgar Wright è decisamente uno dei registi più ecletticamente controversi di tutti i tempi. Britannico per nascita ma americano d’adozione, sin dal 2004 crea pellicole su misura per l’industria hollywoodiana pur sovvertendone temi e stilemi. La sua maestria, infatti, risiede principalmente nel presentare un prodotto classico, conforme agli standard e, improvvisamente, trasformarlo in qualcosa di diverso, nuovo, originale. Nel momento stesso in cui lo spettatore pensa di aver capito che tipo di pellicola sta guardando, dunque, si ritrova completamente immerso in un universo bizzarro e stravagante che accetta esagerazioni, exploit impetuosi e logorroiche esplosioni di humor nero.
Dopo aver firmato la regia della cosiddetta trilogia del cornetto (L’alba dei morti dementi, Hot fuzz e La fine del mondo) e aver raggiunto il successo internazionale con Scott Pilgrim VS the world, Wright decide di trasformare l’idea utilizzata per il videoclip Blue Song dei Mint Royale in una vera e propria pellicola d’azione alla Scorsese. Nasce così Baby Driver, l’introspettivo e camaleontico action movie il cui mondo risulta composto soltanto da sesso, droga e azione.
Il protagonista Ansel Elgort, Baby, è apparentemente un ragazzetto come tanti altri, fissato con la musica e con gli i-pod di ultima generazione, capaci di inglobare una variegata gamma di canzoni differenti, adattabili all’umore e alla situazione. Dietro i suoi occhiali alla Tom Cruise, però, nasconde un passato difficile e scomodo fatto di perdite personali, di furti falliti e di debiti ancora da saldare. Per questo motivo, è costretto ad assecondare i folli piani di un Kevin Spacey in ottima forma, divenendone il portafortuna ufficiale, l’abile asso nella manica capace di mimetizzare corpo e anima. L’uso smodato delle cuffiette e del registratore, infatti, nasconde un disturbo fisico e psicologico che ne condiziona i riflessi, convincendolo a erigere una barriera tra lui e il mondo circostante che rifiuta con tutto se stesso, pur convivendoci. All’approvazione di colleghi del calibro di Jamie Foxx e John Hamm, preferisce l’amore della timida Lily James, una Cenerentola sui pattini a rotelle che lavora nei diner e ambisce a fare un viaggio senza destinazione finale.
Ogni rapina scatena libidinose sequenze d’azione che sembrano scaturire direttamente da sinusoidi di musica pop e rock ma anche vintage e reggaeton. La musica, quindi, si rivela la vera anima della pellicola che impernia di sé ogni fotogramma ed emerge così prepotentemente da divenire l’estensione simbolica e letterale del suo eroe. La colonna sonora – e in particolare il brano Brighton Rock dei Queen – si rivela quindi una sorta di direttrice di orchestra che si occupa di coordinare le corse, le sgommate e i testacoda per dar vita alla più esuberante coreografia multimediale di tutti i tempi.
Presentato in anteprima al South by Southwest Film Festival, Baby Driver, dunque, si rivela ben presto un ottimo prodotto che miscela talmente bene azione e ironia da convincere il pubblico a sporcarsi le mani perché “nel crimine non si può essere spettatori, dal momento che in qualsiasi modo partecipi, diventi un criminale anche tu.”