Ho conosciuto Nicola Di Gioia, detto Niki, qualche anno fa. Niki era un po’ il lasciapassare, oggi anche il capofila del glorioso popolo stracult. Di fatto se ne era accorto anche Carlo Verdone, proprio ultimamente, che, ne Il mio miglior nemico e in Io, loro e Lara, aveva utilizzato la maschera di Niki Di Gioia, e proprio in linea con i suoi memorabili personaggi stracult. Ciò già dalla complicità appunto di Stracult, la storica trasmissione di Marco Giusti, dove con Niki ci si incontrava e si ricordava, sino a rincorrerci veramente, proprio da una piazza all’altra di Roma, quando si trattava di celebrare eroi come Bombolo o Franco e Ciccio, Ennio Antonelli, Nello Pazzafini o anche Cannavale, Vitali e Pippo Franco, insomma tutta quella allegra brigata del cinema più, tra virgolette, cialtrone.
Niki Di Gioia però era stato anche lui un eroe, proprio dell’intramontabile western all’italiana, certamente di quello più, ancora tra virgolette, scalcinato e dozzinale, quello dove si sparava sempre e volentieri, ma comunque un cinema capacissimo ancora di regalare fortissime emozioni. Quel cinema dove noi, cinquantenni degli anni duemila, eravamo cresciuti. Come si divertiva Niki quando gli ricordavamo le botte prese, e gli sganassoni centrati davvero, sul set del film 7 dollari sul rosso, diretto da Albert Cardiff (Alberto Cardone) nel 1966, dove, già dai titoli che scorrevano in coda al film Niki veniva menzionato come “il cowboy riempito di botte” (effettivamente) per proseguire poi come “il cowboy vestito di celeste” nell’altrettanto adorato film di Edward G. Muller (Eduardo Mulargia), Non aspettare Django, spara!, girato nel 1967. D’altronde in quello splendido e poetico mercato, certamente confuso e dozzinale se vogliamo, ma ardito e spregiudicato alquanto, anche gioioso e coraggioso in fondo, i personaggi che Niki spesso interpretava erano tutti ricordati, nello scorrere dei titoli finali, assolutamente in questa maniera: “il giocatore di carte”, “lo scagnozzo”, “il samaritano”, “il mezzosangue”, “il guercio”, “il messicano”, “il gitano”, “l’uomo della sputacchiera”.
La scomparsa di Niki Di Gioia (veniva da Andria, ma certamente poi fu fulminato dalla leggerezza di una Roma anni sessanta) chiude ulteriormente un cinema, ma anche un’Italia, che, piace immaginare, non esiste più. Un cinema ed un’Italia che, come ci ha sempre ricordato Marco Giusti in tutti questi anni, proprio dai prosceni dei suoi leggiadri e sognanti Stracult che questo, proprio quello di Niki Di Gioia e della sua truppa affine, era il cinema che ti faceva sentire che “effettivamente c’eri”, che eri “veramente vivo”, che mentre guardavi “reagivi”, che stavi finanche “entrando in contatto con il mondo, con il tuo vicino …”, che stavi anche per entrare, forse, o forse eri già entrato completamente, proprio con tutte le scarpe, dentro allo schermo … che facevi parte anche “… se non addirittura del cinema, certamente però, di qualcosa che è molto vicino alla vita …”.
Niki mancherà davvero a questo popolo.