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Interviews

Antonio Racioppi: la commedia all’italiana, ultima tappa per il cinema italiano

DA UOMO A UOMO. Prima puntata. “Antonio Racioppi: la commedia all’italiana, ultima tappa per il cinema italiano”. Parte una nuova rubrica di TAXI DRIVERS: ispirato dal celebre film di Giulio Petroni (“Da uomo a uomo”, 1967), Giovanni Berardi incontra alcuni dei più rappresentativi registi italiani degli anni ’60 e 70′, autori che hanno animato un periodo assai significativo della storia del nostro cinema. Rubrica a cura di Giovanni Berardi.

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Antonio Racioppi e Giovanni Berardi

Attraverso le finestre di casa Racioppi, affacciate sul mare di Lavinio si è soliti intravedere l’ombra del Circeo, ed anche la sagoma di Torre Astura, ma la foschia che caratterizza la giornata scelta per l’intervista sembra non favorire questa magnifica opportunità. Ma anche in questo contesto di ombra dominante il panorama offerto continua a restare allietante. Antonio Racioppi è un regista di cinema di lungo corso, oggi è anche un prolifico commediografo, trenta testi teatrali all’attivo e tutti rappresentati  (l’ultimo  Tempi di digitale andrà in scena in ottobre al teatro Anfitrione di Roma), ma negli anni sessanta e settanta è stato un regista di cinema di nutrito ed ispirato mestiere.

Dice Antonio Racioppi: “Erano tempi in cui davvero potevi sentire, tastare come si dice il polso del pubblico, e allora potevamo infilare, proprio una dietro l’altra, storie che li riguardavano pienamente e, tra sorrisi oppure forti emozioni, a volte realizzate in maniera anche estrema, riuscivamo a rappresentare proprio la società ed il suo realismo sullo schermo”. Film come Tempo di villeggiatura, che segna nel 1956 l’ esordio nel cinema di Antonio Racioppi, subito dopo il diploma al centro sperimentale di cinematografia, rappresenta nella sua filmografia quello che è l’amore per il racconto.  Spiega Antonio Racioppi: “Il cinema italiano ha avuto un magnifico periodo, quello dei telefoni bianchi, rappresentato in piena epoca fascista. Questo non era un cinema coraggioso, beninteso, di netta avversione al regime voglio dire.  Al contrario era una corrente cinematografica che non si proponeva nessun fine, politico o polemico, ma finalmente si raccoglieva e raccontava delle storie. Oggi penso ai film di Mario Camerini,  Gli uomini che mascalzoni  e Grandi magazzini  per rappresentare bene il pensiero”. Noi pensiamo, in verità, che il cinema dei telefoni bianchi è stata davvero la prima grande tappa dell’unico movimento culturale che il cinema italiano è riuscito a creare, quello del neorealismo.  “Infatti” spiega Antonio Racioppi  “dai telefoni bianchi siamo passati direttamente al neorealismo, nel frattempo c’era stata la guerra , con i suoi disastri, le sue sofferenze e l’interruzione della vita culturale, ripresa subito dopo la guerra, nel cinema appunto con la corrente del neorealismo. Fu, quello, un periodo intenso di rinascita. Si prendevano gli attori dalla strada perché non c’erano soldi, quando poi abbiamo cominciato a riprendere gli attori professionisti per raccontare le nostre storie, è nata la commedia all’italiana. Che era appunto il neorealismo raccontato con gli attori, gli sceneggiatori, insomma raccontato con più soldi. Ecco, oggi io non riesco a vedere altre tappe radicali nel cinema italiano dopo la commedia all’italiana.  Quello che riesco a dire oggi è che vedo molta dispersione”.

Nel cinema Antonio Racioppi è stato anche uno sceneggiatore importante, il film che impone il regista Fernando Di Leo al grande pubblico Brucia ragazzo brucia nel 1969 porta la sua firma.  Dopo il film del suo esordio, appunto Tempo di villeggiatura, dove dirigeva attori quali Vittorio De Sica, Nino Manfredi, Maurizio Arena, Giovanna Ralli, Abbe Lane, ha scritto e diretto alterni successi di critica e trionfi, ugualmente alterni, al botteghino.  Mio padre monsignore ad esempio, girato nel 1972  ed interpretato da Giancarlo Giannini, Lino Capolicchio,Gastone Moschin, fu decisamente un campione negli incassi della stagione. Invece il successivo, Il maschio ruspante, girato nel 1973 con Giuliano Gemma, Barbara Bach, Marisa Merlini, Ninetto Davoli, è stato per Racioppi una sofferta delusione. Eppure il film era una commedia garbata e divertente, molto inserita nel contesto e nel dibattito cinematografico e culturale del periodo, ma non ebbe assolutamente la fortuna sperata. Dice Antonio Racioppi: “Giuliano Gemma è un bravissimo attore, diligente, attento, sereno, educato. Ma non era quello giusto per la parte. Il suo pubblico era abituato a vederlo in un ruolo ben preciso, specifico, determinato. Quello ricoperto invece in  Il maschio ruspante, completamente diverso, gli ha spiazzati”.  Subito dopo Racioppi torna sugli schermi con  Il decamerone proibito e Le mille e una notte all’italiana. Questi ultimi due titoli, entrambi in sala nel 1973, diretti in collaborazione con Carlo Infascelli,  derivavano dal grande successo commerciale de Il Decameron, 1971, film che Pier Paolo Pasolini ha tratto dalle novelle di Giovanni Boccaccio, proprio per raccontare, in forma di poesia al cinema, una realtà trascinante, ilare e lieta che era soprattutto sessuale, teoria che, in qualche maniera, era presente anche ne  Il maschio ruspante. Questi due film, fortemente voluti dal produttore Carlo Infascelli, grande amico di Antonio Racioppi, erano nati per continuare a celebrare nel cinema una sessualità assolutamente gaudente e fortemente ridanciana. In qualche maniera anche questi titoli contribuirono nei primi anni settanta al dibattito libertario sui costumi e contribuirono quantomai all’ infrangimento di qualche tabù)  interpretati da una serie di caratteristi di profonda cultura teatrale come  Giacomo Rizzo, Pupo De Luca, Mario Maranzana, Elio Crovetto, Salvatore Puntillo. Tra loro insisteva un giovanissimo Maurizio Merli, diventato subito dopo un eroe del poliziottesco italiano. Uno degli ultimi film girati da Racioppi per il cinema è stato  La mano nera  (prima della mafia, dopo la mafia)  nel 1974, interpretato da un attore, oggi un caposaldo del miglior cinema italiano, Michele Placido  (qui proprio al suo esordio nel cinema), e da  Lionel Stander, Philippe Leroy, Rosanna Fratello.

Quello che resta evidente e fondamentale oggi e che tanti grandi attori dunque hanno calcato le scene dei film di Antonio Racioppi:  “Il grande attore, ed io nella mia carriera ne ho avuti tanti, si dirige da solo, almeno per come adotto io il loro utilizzo. Questo perchè insieme, già al momento del provino, e poi alle definitive prove generali, stabiliamo immediatamente la natura del carattere, i ritmi, i movimenti, la dialettica dei personaggi. Dopo si va avanti, ognuno, dico l’attore ed il regista, meditando e ragionando sul proprio lavoro. Mi aiuta, devo dire, in tutto questo, il mio lavoro in sede di sceneggiatura e precisamente il momento di scrittura che io chiamo l’anagrafe dei personaggi, che diventa poi un autentico supporto alla sceneggiatura definitiva. Io scrivo puntigliosamente anche i caratteri dei personaggi minori che appariranno nel film, descrivo tutte le loro forze, le debolezze, le loro ambizioni, immagino proprio tutta quella che è la loro vita, dentro e fuori dal film stesso. Ed in questo schema, devo dire, che poi consegno all’attore, lui sa tutto quello che voglio e come lo voglio. Gli attori possono  così facilmente consolidare e radicalizzare meglio il loro personaggio. Si, io lavoro moltissimo proprio nel copione, ho lavorato molto nei copioni per il cinema  e ci lavoro molto ancora oggi nei copioni che scrivo per il teatro…”   Antonio Racioppi, come poi ci ha confessato, è davvero un fautore di quelli che considerano la sceneggiatura come la parte davvero importante del film, quella a cui non  bisogna mai assolutamente rinunciare. Questo nemmeno a nome del più autentico realismo.

Giovanni Berardi

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