La prima stagione di Gypsy è disponibile in streaming su Netflix.
“Ho sempre pensato che fossero le persone a determinare la propria vita ma invece esiste una forza molto più potente del libero arbitrio: i nostri desideri.” Inizia così la serie Netflix, Gypsy, uscita lo scorso 30 giugno in dieci puntate, scritta dall’esordiente Lisa Rubin e interpretata da Naomi Watts, che veste i panni di una donna matura, professionista affermata e dalla vita dorata e apparentemente perfetta, che deve fare i conti con i suoi desideri.
Jean Holloway è una psicoterapeuta, è sposata con un brillante avvocato, Michael (Billy Crudrup, il giornalista che intervista Natalie Portman-Jackie Kennedy in Jackie di Pablo Larraìn), molto innamorato di lei e hanno una figlia.Vivono nel Connecticut in una casa elegante circondata di altre case eleganti abitate da altre persone eleganti con cui si relazionano spesso. Eppure Jean, che fa la pendolare ogni giorno per raggiungere il suo studio a Manhattan, non è soddisfatta. Inizia così ad entrare nella vita delle persone vicine ai pazienti che ha in analisi, stravolgendo completamente le esistenze dei suoi stessi clienti, delle persone che hanno intorno e la sua.
“Who are you when no one is watching?”
Chi sei quando nessuno ti sta vedendo? Jean diventa Diane, Diane Hart, scrittrice free-lance, che abita in un piccolo appartamento a Manhattan. Con la sua nuova identità si intrufola nella vita della figlia di Claire Rogers (Brenda Vaccaro), cercando di ricucire quel rapporto madre-figlia che con sua madre si è ormai lacerato da tempo; si insinua nella relazione complicata tra Allison (Lucy Boynton) e Tom, tossicodipendente da anfetamine lei, e spacciatore lui, cercando di esercitare con Allison il ruolo di madre-salvatrice; e, soprattutto, motore della serie, intreccia una storia molto fisica con Sidney (Sophie Cookson), ex fidanzata di un suo paziente, ragazza molto attraente e manipolatrice che si divide tra il lavoro di barista e quello di cantante nella sua band, i Vagabond Hotel.
Jean diventa Diane perché vuole fuggire dalla sua realtà perfetta di moglie madre e professionista, perché le stanno strette le riunioni delle mamme della scuola, quelle familiari, e addirittura le premure di Michael, che è il marito che ogni donna vorrebbe. Lei invece vorrebbe una vita diversa, probabilmente avrebbe potuto averla ma ad un certo punto ha scelto la strada che l’ha condotta dove si trova oggi. E oggi lei sente che le manca la terra sotto i piedi.
Il pezzo di Stevie Nicks dei Fleetwood Mac, Gypsy, che apre le puntate e che la cantante ha rimasterizzato proprio per l’occasione, racchiude una sorta di rivelazione tematica: back to the gypsy that I was, ritorno alla nomade che ero, ritorno sui suoi passi, per vivere le vite che non è riuscita a vivere.
L’intenzione della sceneggiatrice Lisa Rubin era quella di raccontare la fuga dalla vita attraverso un ruolo femminile, cosa che nel cinema, secondo la Rubin, siamo più abituati a vedere al maschile, mentre “vediamo sempre le donne combattere nelle avversità della vita quotidiana”.
E tutti i desideri che si insinuano nelle pieghe del quotidiano hanno un loro lato oscuro: nel suo alternarsi con Diane, Jean acquisisce maggiore sicurezza in se stessa e inizia a rompere i confini: primo fra tutti l’accettazione della confusione di genere che la figlia sta vivendo, mal vista dalle altre mamme, la porta ad un costante scontro con le donne, che come lei vivono una vita all’apparenza perfetta e nascondono gli ansiolitici in bagno (a cui Jean costantemente ricorre di nascosto, facendo però sfoggio di un immagine sicura di sé senza bisogno di farmaci).
La regia dei primi due episodi è stata affidata a Sam-Taylor Johnson, che con 50 sfumature di grigio si era già cimentata nella regia di film a sfondo sessuale. Il rapporto con la giovane Sidney porta Jean/Diane a scoprire un territorio nuovo e inesplorato, ma non è la storia di un amore tra donne, come potrebbe sembrare in superficie, il motore che la spinge ad avventurarsi con Sidney nel retrobottega del bar dove la ragazza lavora, The rabbit hole, la tana del coniglio, è il desiderio di trasgressione.
I personaggi maschili
Gypsy ha un universo femminile affollato di donne alle prese con il proprio lato oscuro; il mondo ne è pieno e raramente si scrivono storie in cui si parla di loro; per questo i due ruoli maschili principali, il marito di Jean e uno dei suoi pazienti, sono, secondo la stessa Rubin, più passivi, e vivono i tormenti tipici dei personaggi femminili.
Michael Holloway, il marito di Jean, rappresenta il centro morale della storia: è un uomo integerrimo, innamorato di sua moglie e di sua figlia e, anche se a volte scricchiola, non cede alle lusinghe della sua affascinante segretaria Alexis (Melanie Liburd) e si mostra (quasi) sempre comprensivo di fronte alle numerose incongruenze dei racconti della moglie circa i suoi spostamenti quotidiani e notturni.
Sam Duffy (Karl Glusman) è il paziente di Jean, ex-fidanzato di Sidney. E’ ancora dipendente dall’idea della ragazza, e nonostante una nuova relazione con la sua ex, che lo porterà ad un’esistenza ordinaria fatta di feste di fidanzamento e cene di coppia, resta ancora ossessionato da Sidney e da quello che la ragazza rappresenta, così come per Jean/Diane, la via del desiderio, la strada per vivere la propria vita fuori dai binari. E’ per questo, forse, che si potrebbe considerare il giovane Sam l’alter-ego maschile di Jean.
Gypsy ha suscitato pareri discordanti sulla stampa televisiva americana: per alcuni si tratta della scialba vita di un’annoiata donna upper class che cerca una via di fuga. Aldilà di quello che potrebbe sembrare un cliché, Jean rappresenta la maggior parte delle persone (uomini e donne) intrappolati in vite che gli vanno strette e che non hanno il coraggio di cambiare. In molti di loro serpeggia un desiderio che dapprima è latente e poi si fa sempre più ingombrante al punto tale da cercare una trasgressione. Jean finisce tra le braccia di Sidney, così come tanti finiscono tra le braccia di qualcuno, magari altrettanto insoddisfatto, ma il punto è fino a che punto sei disposto a rischiare per la tua trasgressione? Quanto realmente vuoi cambiare la tua vita? Basta una sveltina nel retrobottega del bar in pausa pranzo per farti volare alto o forse c’è bisogno di andare più a fondo? E chi paga il conto per la trasgressione di Jean?
La fuga ai tempi di Netflix
Vale la pena fare una riflessione su un piano metanarrativo. In tempi in cui la serialità ha preso un posto di primo piano nell’ intrattenimento quella di Jean sembra una fuga nella finzione narrativa, così come in tanti si rifugiano nella sala buia di un cinema o davanti al proprio computer a seguire una serie o a inventarsi nuove identità sui social network. E a volte, se il gioco prende la mano si finisce per confondere Jean con Diane. La verità con la finzione.