Christian De Sica ha portato a Sabaudia il suo eclettismo, la sua notevole arte di attore. Il sodalizio con Massimo Boldi, ormai pare buttato alle spalle, così come, forse, l’esperienza dei cinepanettoni. “… a Sabaudia capito molto spesso per le mie vacanze mordi e scappa, questo grazie anche a mio cognato, Carlo Verdone, che qui sovente affitta una casa, e poi perché qui ho anche girato molte scene di un film a cui tengo molto, Uomini Uomini Uomini. Poi perché qui ho il grande privilegio, oggi, di ritirare quello che è il primo riconoscimento ad un attore che è diventato un mito, il beniamino di un pubblico eterogeneo, internazionale, un personaggio incredibile, Bud Spencer …”.
Il premio, creato dall’arte scultorea della figlia di Bud Spencer, Cristiana, raffigura una pellicola che si innalza come raggiante, una situazione dal carattere analogico, poetico, in tempi, forse, di odiati digitali, testimonianza sofferta, pensiamo, anche dal cinema di Bud. E mentre Christian si prodigava nei ringraziamenti, sottolineando anche la forza mediatica, fortemente popolare del cinema di Bud Spencer, e proprio in tutto il mondo, ecco Enrico Brignano, anche lui salito sul palco in compagnia del regista Fausto Brizzi e del regista Paolo Genovese, forse dominato alquanto dalla irruenza comica, si lasciava andare con commenti “satirici” secondo noi di dubbia onestà. Quando propone poi a Christian di usare il premio “Bud Spencer” come reggiporta per eventuali correnti d’aria ebbene, noi pensiamo, per il contesto e per il rigore che si deve a Bud Spencer ed all’arte scultorea della figlia Cristiana, che si meriti ben altre interpretazioni; noi pensiamo anche che l’arte della risata, espressa in queste dimensioni, figuri in qualche maniera depressa. E si sono ritrovati poi, quindi, tutti insieme sul palco, a ricordare anche la grande stagione dei padri, perché sul palco, ad un certo punto oltre Christian, che ci ha ricordato le grandi performance di attore del grande Vittorio, anche Ricky Tognazzi, e giù il ricordo affettivo ci faceva ritrovare il grandissimo Ugo, e riconduceva anche ai fratelli, l’attore Gianmarco e la sorella Maria Sole, oggi sicuramente abile ed affermata regista di una cinematografia italiana per forza di cose rinnovata e rinnovabile.
E c’era poi, pure, Simona Izzo, che del cinema, e dello spettacolo italiano più in genere, fa parte di una famiglia autorevole, intanto il padre Renato, ricordato oggi, certamente come l’autorevole, il perfetto doppiatore; poi comprende sicuramente anche la sorella regista, Rossella, ma anche il figlio Francesco Venditti, che è anche lui un esuberante attore; e finanche la nipote, esuberante attrice anch’essa, Miriam Catania. Non vogliamo tirare fuori confronti e paragoni, ma tutti quanti rappresentavano quelli che sono quasi cento anni di cinema e di spettacolo italiano. L’occasione, come detto, che ha visto Christian sul palco a Sabaudia, quella concreta e netta, era la sua premiazione con il premio Bud Spencer. Ecco sul palco salire dunque anche i figli del mitico Bud, Cristiana e Giuseppe Pedersoli. E sul palco naturalmente, ma più che giustamente, il ricordo è corso anche al grande produttore Peppino Amato, che di Spencer era il suocero, e di Cristiana e Giuseppe il nonno, mitica figura contraddittoria, ma in positivo, della grande avventura del cinema italiano, colui che ha inventato di sana pianta, in fondo, i presupposti che hanno dato vita alla costruzione di un film eccezionale, La dolce vita di Federico Fellini, un’opera che ha costituito anche un’educazione ed un’identità che hanno pesato anche, e fortemente, sulla cultura del popolo italiano, indicandone anche una via, un presupposto ideologico. Ma qui ora siamo entrati davvero dentro il cinema che è diventato il mito, la forza espressiva, la simpatia innata, il gioco eterno, la cultura notevole, il divertimento assoluto.
Eravamo, ad un certo punto, proprio con il cappello e le scarpe, entro il mitico universo felliniano, che in fondo ha sempre giocato con i toni e con i caratteri della commedia. Ma Peppino Amato, come ha ricordato Christian De Sica, non è stato solo il produttore che ha concepito La dolce vita, ma è anche colui che ha spronato alla regia uno ancor giovane Vittorio De Sica, producendogli un film, anzi condividendone insieme la regia, Rose Scarlatte, nel 1940. Poi il percorso continua verso il cinema di Ugo Tognazzi, e Ricky ha fatto onore davvero alla nostra identità cinematografica e culturale citando i mitici colleghi del papà Ugo: insomma Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Alberto Sordi hanno aleggiato anch’essi nel grande proscenio, anche qualcosa che spiegava, tra le righe, che se la nostra commedia è stata grande forse è perché si era compiuto, in quei tempi, un forte contributo di incontri positivi, uomini che al primo posto, nella scala dei valori, forgiavano quella che era l’onestà intellettuale, la fiducia tra colleghi: sceneggiatori, produttori, registi ed attori, creando un mondo intellegibile e collegato, creando insomma il movimento.
Ecco: a Sabaudia resisteva, ancora una volta, il grande cinema italiano, quello che era stato anche un accertato ed accettato movimento internazionale, e i ricordi cominciavano a toccare anche il cinema di Marco Ferreri, di cui Ricky era stato l’aiuto regista, e nel film girato proprio tra i prosceni pontini, proprio entro le architetture razionaliste di Sabaudia e di Latina, di Pontinia e di Aprilia, Storia di Piera; insomma, ma il pensiero non poteva non correre anche a pellicole quali L’Ape regina, La donna scimmia, Marcia nuziale, anche all’episodio di Controsesso (Il professore), finanche i surreali geniali de La grande abbuffata e de Non toccare la donna bianca, nate dal prolifico incontro di papà Ugo con Marco Ferreri. Poi i ricordi facevano toccare anche il cinema di Bernardo Bertolucci, ed un film di cui Ugo Tognazzi era l’eccezionale protagonista, La tragedia di un uomo ridicolo, dove Ricky, anche, era nel cast a forgiare e condensare in quel 1980 la propria esperienza di giovane attore, ma anche il cinema di Pier Paolo Pasolini, cominciava ad aleggiare, un’altra figura essenziale nell’immaginario sabaudiano (Pasolini viveva assolutamente la città di Sabaudia tanto da comperarsi, godendosela però assai poco, una villa sulle dune, costruita dirimpetto a quella di Alberto Moravia e Dacia Maraini) al quale Ugo Tognazzi ha prestato la sua arte d’attore per uno dei capolavori più ambiti e più discussi del cinema pasoliniano, Porcile.
Ma è stato il cinema delle sberle, finanche, quello di Bud Spencer e Terence Hill, infine, che ha costituito, e veramente fornito, il fondamentale, ovvero l’ultimo indirizzo internazionale alla nostra cinematografia. Tutto ebbe inizio con Trinità, i mitici capostipiti di Enzo Barboni, nel momento in cui cominciava a delinearsi l’idea di traghettare il western più classico nelle vicinanze della commedia più italiana possibile, ridanciana e palestrata, un connubio che in seguito darà i frutti più ricercati al mondo: Più forte ragazzi!, Altrimenti ci arrabbiamo, Porgi l’altra guancia, I due superpiedi quasi piatti, Pari e dispari, Io sto con gli ippopotami e poi a salire, fino ad arrivare alle specialità mono, i film vari della serie Piedone, messe in scena, oltre al contesto napoletano, nelle loro varianti cinesi ed africane, da un altro grandissimo della nostra commedia, Steno, o anche i vari Charleston o Bulldozer, messi in scena dalle corde comiche di Marcello Fondato (Uno sceriffo extraterrestre … poco extra e molto terrestre, Chissà perché capitano tutte a me, Bomber), stili in fondo, entrambi, per testimoniare ancora una volta la familiarità dell’attore Bud Spencer con i caratteri e con i toni della grande commedia nazionale, anche di quella più comica possibile. Ecco perché, dunque, un premio come quello dedicato a Bud Spencer non poteva non essere consegnato che nell’ambito di un festival dedicato alla commedia. A Sabaudia appunto.