“È con il mio enorme piacere, così come è enorme piacere di Netflix, che annuncio che ci sarà uno speciale su Sense8 di due ore che verrà rilasciato l’anno prossimo. Dopo questo, non potete mai immaginare quanto mi ha insegnato tutto ciò”. Queste sono le parole scritte nella lettera di Lana Wachowski, una delle creatrici della storia più discussa di questi ultimi tempi. La serie tv che ha provocato un vero e proprio terremoto mediatico nelle pagine Facebook e Twitter della piattaforma streaming di Reed Hastings dopo la decisione da parte di Netflix di interrompere la produzione della terza stagione il 1 giugno di quest’anno.
Partiamo però con ordine, dalle origini, in modo da rendere più comprensibile (soprattutto a coloro che non hanno visto la serie o che non avevano la benché minima idea della sua esistenza) ciò che è appena successo, che è qualcosa di assolutamente anomalo sotto l’aspetto del rapporto tra pubblico e broadcaster.
È il 5 giugno del 2015 quando le Wachowski’s cambiano campo di gioco, passando dal lungometraggio al racconto seriale. Sense8 racconta la storia di 8 ragazzi che improvvisamente si trovano connessi in un’unica grande mente, interagendo gli uni con gli altri in ogni area globale. Idea particolarmente geniale, ma che viene sfruttata dagli autori per un fine superiore, quella di abituare il pubblico a una cultura libera da barriere preconcettuali, trattando il tema del razzismo e dell’omofobia. Questo modus operandi hanno avuto modo di congegnarlo già nella loro opera più conosciuta, Matrix, con Neo che si trova a lottare per la sopravvivenza del genere umano connettendosi in un cyberspazio composto da dati numerici prodotti da delle macchine.
Tornando a Sense8, la fantascienza centra particolarmente poco, nonostante l’idea iniziale. I sensate vengono ripresi nelle loro attività consuete, non hanno un fine da raggiungere per la salvezza dell’umanità, come è tipico del genere. Quello che la storia si prefigge di ottenere è una maggiore focalizzazione sui diversi protagonisti, ognuno dei quali possiede una particolare caratteristica. La descrizione è fondamentale se si tratta di una serie TV, a patto che ci sia un equilibrio di fondo tra narrazione e profondità nella psicologia dei personaggi.
Nella prima stagione il forte squilibrio verso l’analisi dettagliata della vita del cluster, termine utilizzato per delimitare il gruppo preciso di individui connessi, ha determinato un’accelerazione repentina della narrazione verso le ultime puntate, mentre, fortunatamente, la seconda, uscita il 5 maggio 2017, ha preso una piega differente, inserendo nuovi dettagli in riferimento al mondo raccontato dalle sorelle Wachowski. Tuttavia il metodo usato dalle autrici non è stato premiato dal pubblico. La stessa Lana, nel testo pubblicato sulla pagina Facebook della serie tv, sottolinea, nella logica dello show business, che i numeri hanno sempre ragione, dati che affermano chiaramente che gli eccessivi costi (9 milioni a puntata) non hanno portato relativi guadagni.
L’anomalia (positiva o negativa a seconda di chi legge) avvenuta dopo il 5 giugno è da ritenersi un punto fondamentale per quanto riguarda il ruolo attivo dell’utente-pubblico nei confronti delle produzioni seriali. È bastato un hashtag, simbolo usato e abusato in rete, ed ecco un popolo reclutato per un fine comune. Sembra la trama di Sense8, ma è tutto vero. Ogni volta che Netflix pubblicava un nuovo contenuto promozionale, c’era sempre qualcuno che, munito dell’arma #RenewSense8 e #BringBackSense8, esprimeva il suo dissenso per la cancellazione della serie.
L’azienda di Hastings si è dovuta arrendere al popolo forcaiolo di internet, decidendo per il male minore: terminare la storia, ma con un breve finale da due ore. C’è chi ritiene questa una grande mossa di marketing, alzando così le aspettative verso una conclusione che si preannuncia scoppiettante almeno sulla carta. Un pensiero ambiguo, visto che a conti fatti era l’unica strada percorribile e in grado di accontentare gli abbonati, con Netflix che fino all’ultimo sembrava essere restio alle richieste di rinnovo.
Tuttavia davvero una puntata può salvare l’intero progetto? Difficile che un epilogo che cercherà di riunire i punti del puzzle darà veramente giustizia a un racconto ambizioso e allo stesso tempo pieno di imperfezioni, ma non è mai troppo tardi per cambiare idea.
di Riccardo Lo Re