“Asghar Farhadi torna con una pellicola dove ad emergere sono i tratti di un Iran diverso da quello restituito dall’iconografia diffusa dai mezzi di comunicazione occidentali”.
Dov’è Anna? Il paesaggio brullo di Lisca Bianca, l’isoletta dove Antonioni aveva ambientato l’introduzione de L’avventura, risucchiava il corpo di Lea Massari, o forse era lei stessa a dissolversi tra cielo, terra e mare. Una voce, la sua, fuori dal coro, troppo sincera per essere udita, vagamente oscena, da censurare. L’assenza diveniva elemento costitutivo di una sceneggiatura che metteva alla berlina la vivace rassegna di orrori della nuova classe borghese italiana, consegnandoci un finale di un’amarezza sconcertante.
Asghar Farhadi, dopo l’interessante Fireworks Wednesday, torna con una pellicola dove ad emergere sono i tratti di un Iran inedito, colto da una prospettiva che restituisce un’immagine diversa dalla consueta iconografia diffusa dai mezzi di comunicazione occidentali.
Un gruppo di trentenni, una volta compagni di università, si ritrova per una gita sul mar Caspio. Uno di loro, Ahmad (Shahab Hosseini), è appena tornato dalla Germania, dopo aver divorziato dalla moglie tedesca. Alcuni hanno portato con sé i propri figli. Sephideh (Golshifteh Farahani) cerca di agevolare la conoscenza tra Ahmad ed Elly (Taraneh Alidousti), maestra elementare. Il gruppo, in seguito a un malinteso, non trova disponibile la casa che aveva prenotato e decide di adattarsi a vivere in un’abitazione chiusa da tempo. Tutto procede in allegria e Ahmad tenta timidamente di conoscere Elly. Ma al secondo giorno, mentre i genitori sono andati a far spese, uno dei piccoli rischia l’annegamento. Elly, che avrebbe dovuto sorvegliarlo, è scomparsa.
In About Elly, il dispositivo narrativo distribuisce con rigore geometrico uno spazio dove si depositano le contraddizioni di una cultura, quella iraniana, da troppo tempo in balia di un regime che persegue ottusamente una repressione ostinata, senza concedere alcunché alle nuove esigenze provenienti dal corpo sociale. Elly è un termine all’interno della situazione rappresentata che, scomparendo, fa sì che il vuoto, prima errante, trovi una collocazione, innescando un processo di emersione della verità. Elly è la consistenza minima che, dissolvendosi, rivela l’occultamento dell’inconsistenza della verità che informa la situazione, denunciandone la ridondante veridicità. E, quando una verità viene alla luce, con tutto il suo potere eversivo, la prima reazione è sempre quella di una violenta censura.
Retrocedendo dalla rappresentazione alla presentazione, Elly diviene l’elemento etico attraverso cui viene mostrato il carattere di simulacro della teocrazia iraniana, rendendo più che mai visibile il fatale errore commesso da coloro che, per reagire alla colonizzazione statunitense, iniziata il 16 Agosto del 1953 con il golpe che restaurò al potere lo Shah, diedero vita, con la Rivoluzione del 1979, a uno pseudo-evento.
Dio è morto, ma è morto davvero. Tagliare definitivamente i ponti con la trascendenza, questo è il compito per l’avvenire: osteggiare senza tregua la iattura dell’Uno e affermare la gioiosa molteplicità della verità, la sua universalità, con buona pace del multiculturalismo, della decadenza dell’opinione e dei raffinati congegni sofistici di tanta filosofia suturata, da orami troppo tempo, solo ad alcune delle sue condizioni di esistenza.