Moebius, è un film del 2013 scritto e diretto da Kim Ki-duk. È stato presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2013 ed é uno di quei classici film che prima o poi bisogna vedere.
Trama
Divorata dall’odio per il marito a lungo infedele, una donna cerca di vendicarsi 1ma finisce con l’infliggere una grave ferita al figlio, prima di scomparire per il senso di colpa che ne consegue. Ritenendosi responsabile dell’infermità causata al ragazzo, il padre decide di evirarsi e di dedicarsi esclusivamente al figlio. Con il passare del tempo la situazione sembra ritornare lentamente alla normalità quando, in seguito all’improvviso rientro della moglie a casa, l’intera famiglia è condotta sull’orlo della più terribile delle distruzioni.
Tre quarti di critica lo considera un Kim “minore”, stanco, già visto; qualcuno probabilmente comincerà a credere che il coreano sia un regista finito.
Ebbene, Moebius, in realtà, è niente meno che un capolavoro. È il suo film più intenso, puro, straziante. Nessuna parola in 90 minuti di film; sesso e violenza come se piovessero; perversioni che paiono il frutto di una mente malata, ma che invece (ad aguzzare la vista e, soprattutto, ad aprire il cuore) si rivelano essere l’unica credibile “way of life”; rapporti carnali e familiari completamente reinventati. Insomma, pare essere una summa della poetica kim-iana, ma non è così. È un Kim senz’altro depurato dalle scorie retoriche e dal simbolismo insistito che aveva afflitto Pietà, così come dall’impellenza di trovare un epilogo necessariamente estremo ed eclatante ai suoi racconti (im)morali.
Ma c’è dell’altro: in Moebius viene a mancare anche la consueta struttura circolare con piccole variazioni ad ogni giro (a “spirale”, in pratica) che costituisce la sua tipica concezione del Tempo (molto orientale, effettivamente), esplicitata nei vari Primavera…, Soffio, Ferro 3, L’arco etc. Ancora: vengono trascurati anche i consueti giochi di riflessi e le manipolazioni scenografiche che erano stati cifra stilistica prediletta, nonché fonte di bellezza e significato, nelle sue opere più ispirate. Di tutto questo arsenale espressivo, sono rimaste in Moebius solo le fondamenta: una vicenda macabra e paradossale (geniale sceneggiatura dello stesso Kim), raccontata con uno stile laconico privo di aggettivi, di forzature, di virtuosismi. Verrebbe in mente l’ascetismo di Bresson, filtrato e “orientalizzato” da Kitano, ma Moebius va oltre. È nitida trasparenza. È cinema puro che restituisce un senso di verità come e più che in una qualsiasi esperienza di vita. È il trionfo dell’artificio, dell’assurdo, dell’improbabile come unico modo per esprimere con chiarezza ed onestà i sentimenti più dolorosi e contrastanti: il piacere fisico, l’odio, la follia, la paura, la disperazione, l’amore filiale, il rimorso, la sofferenza fisica e quella psicologica.