Willem Dafoe si racconta a Taxi Drivers: dal sodalizio con Scorsese a quelli con Ferrara e Schrader. Un attore di riferimento del panorama cinematografico contemporaneo
Durante l’ultima edizione del Lucca Film Festival e Europa Cinema abbiamo avuto il piacere di intervistare il celebre attore Willem Dafoe
Da poco si è tenuta l’ultima edizione del Lucca Film Festival e Europa Cinema, manifestazione cinematografica che ormai, da diversi anni porta nel cuore della città toscana artisti di calibro internazionale. Quest’anno gli ospiti d’onore erano il registaOliver Stone e l’attore Willem Dafoe.
Durante uno degli ultimi giorni del festival si è tenuta una masterclass con Willem Dafoe e, a poche ore dall’incontro, ho avuto il privilegio di poter intervistare l’attore che da decenni incanta il pubblico di tutto il mondo.
L’intervista si è svolta in una delle sale del Teatro del Giglio e, al mio arrivo, ho trovato un mr. Dafoe estremamente sorridente e disponibile.
Lei ha lavorato con quasi settanta registi e con alcuni di loro ha stretto quello che credo si possa definire un sodalizio artistico. Penso ad Abel Ferrara o a Paul Schrader che sono i registi con cui lei ha collaborato di più. Che cosa l’ha stimolata e la stimola ancora adesso a lavorare nuovamente con loro?
Perché cucini sempre la stessa pasta? Perché usi gli stessi ingredienti? Ti piace ed eventualmente cerchi solo di migliorarla. No, a parte gli scherzi, mi piace il loro lavoro, mi piace la cooperazione, mi piace aiutarli in ciò che fanno perché ho deciso di crederci! Mi ispirano, cercano di tirarmi fuori sempre qualcosa di nuovo o, semplicemente, sono felice di star con loro. Qualcuno come Wes (Anderson n.d.r.), Lars (Von Trier n.d.r.), sono di ottima compagnia, mi piace anche solo stare in una stanza con loro. Mi piace trascorrere un’intera mattinata insieme con loro che mi dicono “Bene, stiamo cercando di fare questo” e lo facciamo insieme. E certamente con qualcuno come Abel (Ferrara n.d.r.) siamo buoni amici, lui fa qualcosa per me, io faccio qualcosa per lui. Abbiamo un interesse comune, un linguaggio comune! In questo modo è molto più facile lavorare, invece di stare ogni volta a cercare di costruire da capo un rapporto di fiducia e un linguaggio comune.
Lei ha recitato per molti anni e recita tutt’ora a teatro, il luogo simbolo della finzione e della ricostruzione con le sue scenografie, le quinte etc. Un artificio simile accade nel cinema quando si utilizza il blu screen. Le domando che differenza ci sia tra lavorare in teatro e davanti ad un blue screen? Sono due situazioni molto diverse ma al tempo stesso con diversi punti in comune.
Il teatro è un buon allenamento per il blue screen! Ma in realtà il blue screen è solo una condizione, non cambia nulla, si tratta comunque di far finta; si tratta comunque sempre di reagire a stimoli più o meno tangibili.
Durante l’incontro di stamattina si è già parlato della sua esperienza sul set de L’ultima tentazione di Cristo (Martin Scorsese; 1988), ma voglio farle un’ulteriore domanda riguardo a questo meraviglioso film. Cosa ha rappresentato per lei interpretare il ruolo di Gesù? Dar vita a al personaggio del Cristo non è come interpretare un qualsiasi altro personaggio, visto cosa egli rappresenta per la nostra cultura occidentale.
Ho iniziato a ritrovare degli aspetti comuni nelle differenti religioni del mondo e… Gesù è stato un rivoluzionario. Ciò ha fatto parte della mia personale reazione a tutto questo. Il fatto di raccontare una storia dove gli aspetti umani della figura di Cristo sono sviluppati e accettati è certamente ciò che rende attraente la fonte originale: il romanzo di Kazantzakis. Probabilmente è stato questo ad attrarre lo stesso Martin Scorsese. Quindi, una grande storia che esplora l’umanità e la nostra tensione verso il mondo dello spirito.
Lei ha più volte espresso, come anche stamattina, il concetto di “sparire” per un attore. Vuole indicarmi un film o uno spettacolo teatrale che le abbia permesso, maggiormente, di esprimere questo processo?
Credo che capiti più spesso quando si indossa una maschera davvero pesante. Cerco sempre stimoli che mi portino via da me, perché se non somigli a te stesso, non ti muovi come fai di solito e in generale quando non ti senti te stesso ciò disturba le tue reazioni naturali e ti costringe ad averne di diverse. Come neL’Ombra del Vampiro (E. Elias Merhige, 2000) nel quale avevo un make-up talmente pesante che stentavo a riconoscermi, indossavo un corsetto e avevo unghie lunghissime: sono stato costretto ad incarnare un nuovo modo di essere e ciò aiuta molto a diventare qualcos’altro. Avendo una maschera tutto ciò diventa più facile.