Civiltà perduta di James Grayè ora disponibile sulla piattaforma di Netflix.
James Gray, pur essendo un regista e sceneggiature attivo da più di vent’anni, ha diretto solo sei film. È passato da Little Odessa (1994) a questo Civiltà perduta, passando per capolavori come I padroni della notte (2007) e Two Lovers (2008). Dopo aver affrontato l’immigrazione americana negli Stati Uniti all’inizio del Ventesimo secolo in C’era una volta a New York (2013), ritorna a girare un’opera di ambientazione storica.
La trama di Civiltà perduta
Tratto dal romanzo di David Grann, giornalista del New Yorker, La città perduta di Z:il racconto di un’ossessione mortale in Amazzonia, Gray porta sullo schermo gli ultimi anni di vita del colonello dell’esercito ed esploratore Percy Fawcett e la sua ricerca di una antica civiltà indigena nel profondo della foresta amazzonica.
La sceneggiatura racconta in modo lineare la storia di Fawcett iniziando dal 1905, quando Fawcett è ufficiale di stanza in Irlanda, passando per la prima esplorazione di un territorio mai visitato in Bolivia, per controversie di frontiera, su mandato della Royal Geographical Society. Qui Percy Fawcett inizia a trovare i primi indizi dell’esistenza di questa civiltà perduta che l’esploratore chiama Z, navigando fino alla sorgente del Rio Verde in Amazzonia. Ritornato in Inghilterra nessuno gli crede, tranne un altro esploratore, James Murray, molto importante all’interno della Royal Geographical Society.
Effettua in Amazzonia una seconda esplorazione nel 1911-1912, ma si rivela un insuccesso, anche per la mancanza di collaborazione proprio di Murray che lo intralcia e lo boicotta e al ritorno in patria lo denigra davanti a tutta la Società. Nel frattempo, scoppia la Prima Guerra Mondiale e Percy Fawcett è inviato in prima linea sulla Somme in Francia, dove rimane gravemente ferito agli occhi e congedato. Solo nel 1925 riesce a ritornare in Amazzonia, accompagnato dal figlio maggiore Jack, per cercare i resti della città di Z, ma i due scompaiono misteriosamente senza lasciare traccia.
La recensione
Presentato fuori concorso al Festival di Berlino di quest’anno, Civiltà perduta di James Gray è improntata sul tema dell’ossessione di un uomo, ma non solo. È importante anche l’affresco che dipinge di una società inglese tendenzialmente razzista e classista, nel periodo d’oro delle esplorazioni di territori sconosciuti che servivano non solo per le scoperte scientifiche e geografiche, ma soprattutto per scoprire ricchezze, materie prime e affermare l’influenza politica inglese per il mantenimento della grandezza dell’Impero britannico.
Il regista si sofferma sul rapporto di Fawcett con la moglie Nina, una donna volitiva, forte e femminista ante litteram, appartenente al movimento delle suffragette che lottano per il voto delle donne. Il rapporto tra i due, pur all’interno dei costumi tradizionali dell’epoca, è molto anticonformista in un rapporto paritario tra Percy e la moglie. È grazie a lei che lui riesce a viaggiare: lo sostiene nella sua ossessione, lo aiuta nelle ricerche di documenti importanti e accudisce i tre figli nelle lunghe assenze durante le esplorazioni.
Civiltà perduta si dipana quindi tra due direttive: da una parte, la rappresentazione della società inglese, dove Percy Fawcett viene visto come una persona di classe inferiore, non grata, per colpa di un padre che ha sperperato la propria ricchezza ed è morto alcolizzato e ostracizzato dalla stessa classe sociale a cui apparteneva; dall’altro, dalle esplorazioni avventurose nella foresta amazzonica alla ricerca di antiche civiltà scomparse. Il contrasto poi tra la grandezza e superiorità dell’Impero britannico è continuamente messo in evidenza con la diffidenza e l’incredulità da parte dell’establishment per l’esistenza di una antica civiltà millenaria degli indios sudamericani, ritenuti dai bianchi una razza inferiore senza cultura e religione.
Il regista americano è affascinato dalla figura leggendaria di Percy Fawcett, un uomo con una forte volontà che lo porta ad affrontare qualsiasi disagio e pericolo pur di raggiungere il proprio scopo di affermazione personale. Una visione romantica, ma ancorata a una narrazione cronachistica che mostra il lato umano di Percy all’interno delle dinamiche familiari e sociali dell’epoca.
Le sequenze girate nella foresta amazzonica, che ha messo a dura prova l’intera troupe e il cast di attori, sono molto belle e hanno un fascino vintage, con la selva che diviene l’antagonista principale di Percy e dei suoi compagni di avventure. Però, dobbiamo dire, che la grandezza del progetto non ha una realizzazione compiuta. Così se le varie sequenze sono belle in sé, il loro montaggio giustapposto, un po’ slegato, rende il film didascalico e gli fa perdere una certa compattezza nella narrazione che appare episodica sullo schermo.
Dobbiamo citare la buona prova degli attori. Su tutti Charlie Hunnam nella parte di Percy Fawcett e di Sienna Miller in quella della moglie Nina. Una conferma delle capacità d’attore l’abbiamo da Robert Pattison nel ruolo di Henry Costin, amico e fidato compagno nelle esplorazioni di Percy, già ammirato in altri film come Cosmopolis e Maps to the Stars di David Cronenberg e conosciuto al grande pubblico per essere stato Edward Cullen nella saga di Twilight.
Pur non essendo inferiore alle pellicole precedenti di James Gray, Civiltà perduta resta un’opera di fascino e un’ulteriore prova del percorso originale e personale nella cinematografia del regista americano.