The Impossible, un film del 2012 diretto da Juan Antonio Bayona, interpretato da Naomi Watts e Ewan McGregor. Il film è una produzione spagnola girata in lingua inglese su una sceneggiatura di Sergio G. Sánchez, ispirata alla storia vera di una famiglia colpita dallo tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano.
Natale 2004. Maria e Henry si trovano in vacanza insieme ai tre figli nelle paradisiache spiagge della Thailandia. Mentre si riprendono ai bordi della piscina dalla notte di festeggiamenti appena trascorsa, la famiglia è costretta a fare i conti con lo tsunami, una montagna d’acqua che invade ogni cosa, trascinando via tutto ciò che incontra. Durante la loro lotta per la sopravvivenza, si accorgeranno di come la popolazione locale, nonostante il dolore e la disperazione, abbia conservato il coraggio, la gentilezza e la compassione che da sempre la caratterizza.
La recensione di Taxi Drivers
Uno sforzo di ricostruzione colossale ha permesso di riprodurre con grande forza emotiva le scene di devastazione dello tsunami che nel 2004 ha distrutto l’intera costa sudorientale dell’Asia, uccidendo oltre 300.000 persone. In questo scenario apocalittico viene raccontata la vera storia di una famiglia spagnola (che ha collaborato alla stesura del soggetto) dispersa dalla furia delle acque ma che riesce, infine, a ricongiungersi e a mettersi in salvo. La disperata ricerca che intraprendono tutti i componenti della famiglia è l’occasione per verificare la tempra di cui sono fatti ed anche per comprendere quali forze risiedano nel fondo dell’animo umano. Sul loro cammino incontreranno gesti d’altruismo e di egoismo ma a prevalere sarà una visione positiva in cui la collaborazione e il reciproco aiuto restano gli atteggiamenti dominanti.
Il regista, al suo secondo lungometraggio, porta l’esperienza maturata nel cinema horror, con The Orphanage (2007), per accrescere l’enfasi delle drammatiche scene in cui è protagonista la furia devastatrice delle acque e per mantenere alto un ritmo di suspance anche quando l’azione cede spazio all’indagine sulle emozioni. Determinante anche il contributo di Naomi Watts che, dismessi i panni di icona sexy, dà una credibile interpretazione di madre in bilico tra la vita e la morte e si conquista una nomination all’Oscar come miglior attrice protagonista.
Ma la visione del film, oltre a testimoniare i valori di solidarietà che la borghesia occidentale riserva ai momenti più tragici, offre, seppur per ellissi, l’opportunità di riflettere sull’autoreferenzialità della nostra società. Sono le stesse parole dello scenografo (già premio Oscar) Eugenio Caballero a rivelare la questione, quando afferma di essere rimasto scosso dalle reazioni di sconcerto degli abitanti del luogo che vedevano la ricostruzione dell’evento a favore delle riprese cinematografiche.
Non è difficile immaginare che in quei paesi poveri colpiti dall’inondazione saranno in moltissimi ancora a scontare le conseguenze di quell’evento senza poter godere di decenti risarcimenti e nel frattempo l’occidente, sotto la forma e lo strumento del suo cinema, ritorna sui luoghi di quelle sofferenze, investe una fortuna (così è per quei paesi) per rivivere fittiziamente il momento della distruzione e utilizza come comparse gli stessi che hanno realmente visto morire i propri cari in quella sciagura. Non si può concretamente addebitare al cinema e ad un solo film delle responsabilità che sono evidentemente altrove. Ma indirettamente e in modo totalmente off screen il cinema restituisce il senso di questa colossale ingiustizia, almeno per chi ha occhi e volontà per vedere anche quello che le immagini non raccontano.