“Un tempo essere uomo significava essere uno yakuza”.
Prima di mettere immediatamente in scena corpi infilzati e spargimenti di liquido rosso, apre con questa frase Yakuza apocalypse, diretto nel 2015 dal prolifico cineasta giapponese Takashi Miike (oltre cento titoli nel curriculum dall’inizio degli anni Novanta ad oggi!), autore, tra gli altri, di Ichi the killer e 13 assassini.
Cineasta ormai noto per le bizzarrie che caratterizzano i suoi lavori e che non si smentisce neppure in questo caso, mettendo in piedi un plot – su sceneggiatura di Yoshitaka Yamaguchi – alquanto singolare: in un piccolo centro di provincia, un giovane si arruola con un misto di rispetto e devozione nella gang di un boss della Yakuza, il quale è un vampiro impegnato a governare con fare paternalistico e bonario le sorti della comunità, ergendosi a nume tutelare per la popolazione contro le prepotenze.
Un’idea destinata ad evolversi con il giovane che acquisisce gli straordinari poteri vampireschi dal capo quando questi, rifiutata la richiesta di tornare nei ranghi e comportarsi da vero malavitoso avanzatagli da un fantomatico gruppo internazionale per il controllo della criminalità, viene ucciso.
Un’idea atta, quindi, a miscelare i film di malviventi dagli occhi a mandorla con il filone horror dei succhiasangue; man mano che una testa finisce svitata a mani nude da un corpo, immancabili scontri d’arti marziali vengono affidati anche allo Yayan Ruhian visto in The raid – Redenzione e The raid 2 – Berandal e fa la sua entrata in scena, inoltre, un killer vestito di nero che, con zaino-bara sulla schiena, appare in maniera evidente in qualità di incrocio tra lo storico ammazzavampiri Van Helsing e il Django dell’omonimo classico di Sergio Corbucci (al quale, tra l’altro, Miike già aveva avuto modo di rendere omaggio attraverso il suo Sukiyaki western Django).
Senza contare il beccuto kappa del folklore nipponico e l’apice dello humour raggiunto nel momento in cui viene tirato in ballo il campione dei cattivi, vera e propria macchina di morte che dispensa colpi ai propri avversari nascosto sotto un grosso e soffice costume da rana (!!!).
Mai arrivato nelle nostre sale cinematografiche, è Koch Media a renderlo disponibile su supporto blu-ray in una limited edition che, racchiusa in custodia amaray inserita in slipcase cartonato, dispensa il trailer ed un esauriente making of di un’ora nel comparto extra, oltre ad un boklet incluso nella confezione.
Trattamento che, con making of di quattro minuti e trailer nella sezione del disco dedicata ai contenuti speciali, riserva anche ad un altro inedito: Scare campaign, datato 2016, nonché opera seconda degli australiani Cameron e Colin Cairnes, quattro anni dopo il debutto 100 bloody acres.
Oltre un’ora e venti di visione al cui centro troviamo la troupe di un reality show che, intenzionata ad aumentare l’audience dei propri programmi, decide di organizzare uno scherzo a sfondo orrorifico all’interno di un manicomio abbandonato, ovviamente con telecamere pronte ad immortalare il tutto.
Se vi torna subito alla memoria ESP – Fenomeni paranormali dei Vicious Brothers, non ci siete andati poi tanto lontani, in quanto lo spettacolo in questione abbraccia, in un certo senso, anche il mockumentary e la tecnica del pov, pur non facendone il proprio ingrediente principale.
Perché, sebbene le soggettive dell’attrezzatura di ripresa non risultino affatto assenti, è nei binari dello slasher che tende ad incanalarsi l’operazione una volta superata una prima mezz’ora a base di raccapriccianti messe in scena e falsi spaventi.
E, mentre – come avviene sempre in questa tipologia di film dell’orrore – l’influenza da parte del carpenteriano Halloween – La notte delle streghe non fatica a farsi sentire, non mancano, sgozzamenti, strangolamenti, coltellate ed un cranio diviso orizzontalmente in due parti nel corso di un insieme i cui individui mascherati sembrano richiamare alla memoria i folli assassini de La notte del giudizio di James DeMonaco.
Anche se, in mezzo a non indifferenti dosi di emoglobina schizzante, lo spettatore maggiormente amante del genere non può fare a meno di avvertire qualche rimando al poco conosciuto Pesce d’Aprile di Fred Walton nell’assistere ad una mattanza il cui elemento vincente si rivela essere una sceneggiatura – a firma dei registi stessi – sempre capace di sorprendere ricorrendo a continui colpi di scena ed inaspettati cambi di rotta.
Racchiudendo, oltretutto, non poco fascino nella scelta di sfruttare la vicenda raccontata per poter offrire un autentico atto di denuncia nei confronti di una decisamente temibile e tutt’altro che apprezzabile generazione tecnologica legata all’industria dell’intrattenimento d’inizio terzo millennio che, pur di riscuotere successo, si mette alla continua ricerca di sensazionalismo sempre più estremo e realistico, tanto da spingersi in un territorio praticamente identico a quello dei cosiddetti snuff movie (leggendari filmati che, a quanto pare, mostrerebbero vere torture ed uccisioni).