Dopo Franzt, François Ozon porta in Concorso a Cannes 2017 L’Amant Double, suo nuovo lungometraggio e vero flop, tentativo mal riuscito di thriller erotico-psicologico-genetico. Chloé, l’algida Marine Watch, è in depressione, affetta da strani crampi allo stomaco. Comincia la sua terapia psicologica con Paul (l’insipido Jérémie Renier), psichiatra che presto seduce e di cui si innamora. Poco dopo la coppia andrà a vivere insieme ma Paul nasconde un segreto… Il suo doppio.
Con L’Amant Double, Ozon imbastisce una caricatura dei topoi che richiama: dell’inconscio e dei suoi desideri repressi, del concetto di altro da sé interiore ed esteriore, del rifiuto materno… Tutti questi temi si mescolano dentro una storia che non prende mai veramente corpo, restando sempre ai margini di ciò che tenta di esplorare. Demerito innanzitutto di una sceneggiatura scialba, troppo superficiale e banale negli accadimenti e nelle caratterizzazioni dei personaggi. Chloé, lo stereotipo della mantide egoista, il cui tormento non lo si capisce veramente (la terapia tra lei e il medico è inesistente), non lo vediamo, non lo leggiamo tra le righe dei suoi comportamenti prevedibilissimi (l’attrazione per il doppio di Paul dominante, aggressivo, le sue fantasie erotiche che di veramente trasgressivo hanno ben poco). Lo stesso Paul e il suo contrario davvero mal resi, chiaramente positivi e negativi, malamente recitati.
Quanto a suspense e tensione, si giunge addirittura al ridicolo nella scena della metamorfosi della pancia di Cloe, che rimanda subito ad Alien. Un sorriso mi è scappato, e questo è molto grave per un film che ha ambizioni serie. Anche visivamente Ozon si lascia andare ad una direzione statica, a parte l’unico accenno onirico dell’orgasmo della giovane. Il resto, purtroppo, è lontanissimo da capolavori come Inseparabili di David Cronenberg: lì sì che tutta l’interiorità dell’inconscio e la fascinazione dell’ambiguità ci tenevano incollati, in attesa, trasportati ciascuno nel doppio di se stessi.
Maria Cera