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‘Non escludo il ritorno’: L’ultima parte della vita di Franco Califano

Meno male che ci ha pensato Stefano Calvagna a rendere omaggio a Franco Califano, con un film biografico onesto, non furbo, che mette a fuoco l’ultima parte della vita del poeta-cantautore di Roma, scampando quei prevedibili toni celebrativi che di solito caratterizzano questo tipo di operazione

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Meno male che ci ha pensato Stefano Calvagna a rendere omaggio a Franco Califano, con un film biografico onesto, non furbo, Non escludo il ritorno (disponibile su Prime Video), che mette a fuoco l’ultima parte della vita del poeta-cantautore di Roma, scampando quei prevedibili toni celebrativi che di solito caratterizzano questo tipo di operazioni. Eroe della cinematografia italiana indipendente, Calvagna, ancora una volta con pochissime risorse a disposizione, ma con un progetto valido da realizzare, ci mostra gli ultimi anni del Califfo, quelli successivi alla vita spericolata, al successo, agli eccessi, e l’uomo che ne viene fuori non è lo smargiasso bullo di periferia, nonché impenitente rubacuori, che molti avrebbero potuto aspettarsi, piuttosto un personaggio crepuscolare, amareggiato dal mancato (o non pieno) riconoscimento delle sue indubbie doti artistiche, il quale, anche in età avanzata, ha dovuto lottare non poco per difendere il proprio nome.

Franco Califano

Probabilmente a nuocere alla carriera di Franco Califano è stato l’accanimento mediatico rispetto ad alcune vicissitudini giudiziarie, il che ha sciaguratamente dirottato l’attenzione dalla dimensione pubblica-artistica a quella privata, e l’Italia bigotta e falsamente puritana non gli ha perdonato la sua ‘irregolarità’, il suo non essere allineato. Convinto single ante litteram, Califano si è sempre mostrato per quello che era, senza filtri, e nelle sue canzoni questa autenticità emerge chiara, così come quella vena di malinconia per una vita che non concede sconti, in cui, evocando il testo della bellissima Fijo mio, “solo tu te poi dà na mano”. Inutile perdere tempo qui a impalmare il grande poeta di Roma, ricordando i suoi leggendari successi, sarebbe opportuno, invece, invitare i giovani, che spesso lo hanno amato più degli altri, a rivisitarne l’opera, e a trarre quell’indiscutibile lezione di cui, oggi, non possiamo smettere di essergli grati.

Non escludo il ritorno: l’occhio del regista

Piace scoprire, grazie al film di Calvagna, che Franco Califano ha potuto sempre contare, fino all’ultimo, su un folto gruppo di collaboratori che non l’ha mai abbandonato (anche se forse non ne ha gestito al meglio la carriera), che ha sempre creduto in lui, amandolo, costituendo una sorta di famiglia alternativa, l’unica che il cantante potesse tollerare. Butinar è esemplare nel restituire le movenze, lo spirito, la caparbietà tutta romana di Califano, ed è un piacere vederlo (e ascoltarlo) mentre interpreta con la sua voce i più grandi successi del maestro, fino all’accorata, struggente L’ultima spiaggia, canzone che segna il congedo di un uomo che di vite, come amava ripetere, ne aveva vissute tre.

Chi scrive ama in particolare un pezzo di Califano, Capodanno, in cui il poeta malinconicamente esorta la sua compagna a sottrarsi ai convenevoli di una gioia posticcia, preferendo ritirarsi anziché esporsi all’incessante e logorante rito degli auguri, che davvero sortisce l’effetto contrario rispetto a quello desiderato: qui Califano, spogliatosi della maschera del provocatore, del ‘cattivista’, tira fuori il meglio di sé, e sentirlo ripetere con la sua voce intensa la scialba processione del ‘buon anno’ emoziona non poco.

Lode allora a Stefano Calvagna e al suo piccolo-grande film: c’era proprio bisogno di qualcuno che rendesse il meritato omaggio a uno degli artisti più significativi del nostro paese.

Recensione di Luca Biscontini

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