I contatti dei governanti italiani con la corte spagnola per motivi culturali, ma anche politici, crearono per tutto il periodo barocco una linea privilegiata di relazioni tra Italia e Spagna. La mostra, curata da Gonzalo Redín Michaus, mette in evidenza questi legami e ne sottolinea l’importanza. Tra gli autori più noti dei due paesi nascono straordinarie connessioni che a volte determinano una relazione tra gli stili e i linguaggi. I doni diplomatici diventano una norma molto apprezzata, soprattutto se l’oggetto è una tela o una scultura di un artista di gran nome. Da non dimenticare il contesto storico nel quale avvengono i molteplici contatti: la dinastia asburgica, infatti, possedeva il Viceregno di Napoli e lo Stato di Milano. I doni artistici rappresentavano anche allora merce di scambio. È questo il caso di due tra i dipinti più interessanti in mostra, Lot e le figlie di Guercino e La conversione di Saulo di Guido Reni, che furono donati a Filippo IV dal principe Ludovisi, e che hanno lo scopo di garantire la protezione spagnola allo Stato di Piombino. Molte altre opere furono invece fortemente volute dai sovrani spagnoli e vennero commissionate o acquistate da mandatari del re come nel caso della Salomè di Caravaggio, unica opera presente del famoso artista. Il quadro non smentisce lo stile dell’autore che con i suoi violenti colpi di luce e una cromia spesso ridotta, evidenzia il momento drammatico della scena senza dispersione d’attenzione e d’energia. L’immancabile drappo rosso che avvolge la Salomè cattura lo sguardo e l’emozione.
Tra le molte opere: il Crocifisso del Bernini proveniente dal Monastero di San Lorenzo del Escorial. Non mancano gli scambi di residenze per gli artisti delle due nazioni: è il caso di José de Ribera, che giunse a Roma nel 1606 e trascorse la maggior parte della sua vita a Napoli, mentre lo stesso Velázquez fu in Italia, nel 1630 e poi nel 1649-1650, periodo nel quale fu ritrattista presso il papa. O come Luca Giordano che fu invitato in Spagna dove fu attivo per più di dieci anni. Nel 1819, il re Ferdinando VII decise di creare a Madrid un grande museo per contenere le collezioni delle sue opere più preziose. In seguito diverrà il Museo del Prado. Tra le opere italiane spicca L’Allegoria della Logica, del grande e poco conosciuto pittore napoletano Andrea Vaccaro, nel quale un’affascinante fanciulla dalle sembianze fiere e con un elmo sul capo sembra uscire dal buio dell’irrazionalità. Tra le opere spagnole esposte ricordiamo La Tunica di Giuseppe, di Velazquez, in cui la modernità d’impostazione rimanda a dipinti molto successivi, e le cinque tele di José de Ribera, tra cui il capolavoro di bucolica intensità Giacobbe e il gregge di Labano. Fino al 30 Luglio 2017.
Alessandra Cesselon