Ben Safdie e Joshua Safdie sbattono i piedi finalmente in Concorso, riprendendosi la macchina da presa e le sue borghesi elucubrazioni tecnico-tematiche per gettarci nella vivida e turbolenta vita suburbana di New York. Good Time è il risveglio dell’occhio in questa edizione festivaliera davvero sottotono (a parte alcuni novus, il resto è imbarazzante cinema in medias res). Film mobile, che coglie un ritmo, un respiro che affonda nelle radici di cemento, sangue, nelle peregrinazioni di sopravvivenza di fette umane immerse dentro la giungla metropolitana per eccellenza.
Nick (Benny Safdie) ha problemi di cognizione, di comportamento. Connie (Robert Pattinson) lo strappa via dall’ennesimo tentativo di ‘internamento’ rieducazione sociale e lo coinvolge in una rapina. I due sono inseparabili. Connie cerca di difendere a tutti i costi il fratello dal mondo, ma è una lotta impari. Nick è debole e cade. Cade nella rapina, non riesce a scappare, viene preso. Piantonato in ospedale, Connie cerca di liberarlo, prima tentando di racimolare una cauzione, poi andandoselo a prendere in ospedale. Uno scambio di persona getterà Connie in una notte dal countdown disperato e vano.
Nonostante il cinema di genere che cavalca, Good Time riesce a mantenere per quasi tutta la sua durata una propria originalità, una sana freschezza. Merito della tensione di una macchina da presa che abbraccia il multiforme e vitale sottobosco che esplora dentro una pupilla iperrealistica e ipnotica nel catturare variazioni di luce, colori, vibrazioni della realtà metropolitana, supportato da un sound, un ‘rumore’, più che contemporaneo, lasciando sempre al centro il portentoso Robert Pattinson, la cui interpretazione è il punto di riferimento del film: lui decide la direzione da dare alla vicenda, i cambi di eventi e i personaggi che dovrà portare con sé nella disperata corsa per ridare al fratello una piena libertà. Riuscitissimi gli incontri: una superba Jennifer Jason Leigh, ultra 50enne ricca e sfibrata dal lifting, dipendente dalla madre, che sogna ancora il principe azzurro che la porti via… La piccola Crystal alias Taliah Webster, matura ed intelligente 16enne nel riconoscere e non temere l’empatia immediata con Connie, che piomba all’improvviso in casa di sua nonna. Il loro bacio è una delle scene più dolci e romantiche che possa ricordare da un bel po’…
Dove Good Time zoppica è nell’incontro con Ray (Buddy Duress): perdigiorno al gusto di acido, l’ultima possibilità per Connie di mettere in atto il suo piano. Qui la pellicola perde la sua naturale velocità, stagnandosi in una ridondante caccia nel e da parco dei divertimenti. Lo sguardo folle, disperato e dolce di Connie–Pattinson, insieme a tutto il suo essere per il fratello e nel fratello contro un sistema catalizzatore e casellante di una falsa libertà, spero davvero possa meritare il riconoscimento come migliore interpretazione maschile di questo Festival di Cannes. E Good Time, insieme a tutto l’universo umano e urbano che tratteggia, indubbiamente rappresenta il miglior Premio alla Regia per questa competizione. Incrociamo le dita ed aspettiamo le prossime ore…
Maria Cera