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70 Festival di Cannes: Krotkaya di Sergei Loznitsa, un sommo cantico d’orrore sulla madre Russia (Concorso)

Il mondo che Loznitsa ci mette davanti è un mondo di fantasmi. Dostoïevski è sempre là, tra quei volti, quei ricordi, quei paesaggi meravigliosi e perduti. Dentro tutto l’orrore e la miseria di un popolo, quello russo, ormai abbandonato a se stesso

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Il talentuoso Sergei Loznitsa dopo la deviazione documentaristica che in questi ultimi anni ci ha donato frutti preziosi come Maidan (2014) ed Austerlitz (2016), approda quest’anno al Festival di Cannes e al suo Concorso con il cinema di finzione di Krotkaya, nel sommo cantico d’orrore sulla madre Russia. A visione ultimata, di Krotkaya ne sentiamo il gran peso. E ci restano conficcati dentro, gli occhi della sua protagonista. Uno sguardo difficile da decifrare: perso, sofferente, fiero, forte e sottomesso, impenetrabile. Una giovane donna (Vasilina Makovtseva, a cui conferirei il riconoscimento di Migliore Attrice solo per questo sguardo) un giorno riceve nel suo villaggio un pacco che aveva spedito al marito risucchiato in un gulag moderno di un luogo dimenticato dal mondo. Preoccupata per questa restituzione al mittente, decide di andare a trovarlo. Il viaggio non sarà per nulla facile, come pure la visita, negatale dalla burocrazia carceraria senza alcuna giustificazione. Confinata nel limbo-avamposto cittadino del leviatano istituto penitenziario, sua pustola umana colma di bassezze e meschinità, la donna attende l’incontro.

Krotkaya è in primis uno stato mentale (come il suo ipnotico My Joy, Miglior Regia Cannes 2010). Il viaggio che Loznitsa ci forza a percorrere di sicuro ha codici di lettura che soltanto i Russi possono comprendere fino in fondo. Attraversiamo un popolo che vive del passato, crogiolandosi in un’autoreferenzialità vana di grandezza, gloria, ingolfato dentro un nazionalistico complesso di Edipo, schiacciati, umiliati da una donna sanguinaria, spietata, tanto dolce quanto crudele: la madre Russia. Il mondo che Loznitsa ci mette davanti è un mondo di fantasmi. Dostoïevski è sempre là, tra quei volti, quei ricordi, quei paesaggi meravigliosi e perduti. Dentro tutto l’orrore e la miseria di un popolo ormai abbandonato a se stesso. L’opera corale di Krotkaya risente purtroppo di un’estrema memoria. Loznitsa non rinuncia a digressioni di cui perde il controllo e di cui avvertiamo la resa posticcia: i canti intonati, le bevute, le cadute meschine nella promiscua miseria dei suoi protagonisti rivelano a tratti un sapore non autentico, artificioso. Entriamo nel sogno di un sogno. Nel paese dei balocchi, nella favola che ancora oggi i Russi vogliono raccontare a se stessi, che vogliono continuare a vivere. E la metafora, impressa con tutto il suo valore di simbolo, ci porta nel suo affondo scioccante, così improvviso e imprevisto, così terrificante nel giungere dritto al suo valore di senso. 4 minuti valgono un Premio in questa edizione del Festival di Cannes per Krotkaya? Assolutamente sì e mi auguro di cuore che possa giungere.

Maria Cera

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