Leonor (1975) di Juan Luis Buñuel, figlio del celebre Luis, è un film di grande potenza evocativa, laddove le questioni trattate – nella fattispecie l’insistenza di un amore che sfida le leggi che regolano il mondo – mettono lo spettatore in uno stato di sospensione, impedendogli di assumere una posizione netta rispetto ai fatti che si succedono nel corso della vicenda messa in scena.
Michel Piccoli è di una bravura impressionante nell’interpretare un ricco feudatario medievale che, a seguito della perdita della moglie, Leonor, (un’efficacissima e abbagliante Liv Ullmann), prima convola rapidamente a nuove nozze con la giovane e acerba (ma bellissima: i suoi primi piani ricordano alcune celebri tele di Raffaello) Catherine (Ornella Muti), poi, ancora ossessionato dal ricordo della consorte defunta, invoca il diavolo, il quale riporta in vita la donna prematuramente deceduta.
La sequenza, magnificamente fotografata da Luciano Tovoli e accompagnata dalle musiche di Ennio Morricone, in cui Leonor, uscita dal feretro, invade l’inquadratura, avvolta da una folata di vento misto a fogliame, è di una potenza inaudita: l’occhio viene travolto da quella resurrezione, che suscita sensazioni contrastanti, dallo stupore allo sgomento, alla paura. Questo ritorno improvviso, inaspettato, di uno spettro che magicamente (e macabramente) si ri-anima è una visione che pone delle questioni decisive in riferimento alla dimensione dell’immaginario cinematografico. Si, perché qui la resurrezione non comporta una trasfigurazione (come risultato del movimento passione-morte-resurrezione), piuttosto paventa l’incarnazione di un resto indivisibile che ‘insiste’ (la lamella lacaniana?), una pulsione di morte che investe tutto ciò che incontra. Viene in mente, in tal senso, lo splendido remake di Steven Soderbergh del Solaris di Tarkovskij, in particolare la sequenza in cui uno dei membri dell’equipaggio si lamentava con lo psicologo Kelvin dell’insostenibilità delle innumerevoli resurrezioni cui aveva assistito. Il regista americano seppe comunque, in maniera geniale (lavorando sul lato emotivo, più che su quello filosofico), modificare la visione cupa che avvolgeva le premesse del film, donando un finale pieno di speranza, che davvero inumidiva gli occhi dello spettatore.
In Leonor, invece, ciò che è messa a fuoco è la ricaduta idolatrica (del prototipo), il bisogno di impossessarsi di un feticcio che ha smarrito ogni legame con l’oggetto originario. L’amore che fu è definitivamente svanito, e il desiderio ‘titanico’ di riportarlo in vita collude con la logica di quell’atteggiamento intenzionale (così umano, troppo umano) che vorrebbe ricondurre all’interno dell’ordine simbolico (del linguaggio) ciò che per sua natura eccede tale vincolo. Il ritorno di Leonor risuona con quello, molto perturbante, che Luis Buñuel aveva messo in scena ne Il fascino discreto della borghesia (1973), quando la defunta madre appariva nell’oscurità di una stanza intimando al piccolo figlio di uccidere il padre (un’immagine evocata dallo strambo racconto che un militare quasi imponeva alle donne protagoniste del film, le quali, sedute in un bar, si affannavano a ordinare bevande ‘drammaticamente’ già esaurite).
L’immagine prodotta da questo falso movimento non riesce a provocare una rielaborazione che riposiziona lo sguardo, uno sprofondamento che consente di situarsi al di là del visibile, piuttosto si va ad aggiungere al flatus vocis dell’immaginario sub specie spaectaculi. A confermare questa interpretazione concorre la circostanza che vede Leonor trasformarsi in un vampiro, assetato di sangue, portatore di morte e distruzione. Queste considerazioni non vogliono, evidentemente, criticare l’operato di Jean Luis Buñuel, piuttosto tesserne le lodi, per aver saputo con maestria mostrare questa rovinosa caduta, il rovescio vizioso di un processo ‘che salva’, una resurrezione che, anziché annunciare la vittoria della vita sulla morte, si rivela il mezzo attraverso cui far penetrare il male nel mondo, costellandolo di immagini ambigue e menzognere, cui si deve eroicamente resistere.
Per la prima volta disponibile in home video, grazie a Sinister Film, Leonor è un film prezioso che dev’essere assolutamente recuperato e rivalutato per il consistente apporto fornito all’immaginario cinematografico. Un’opera che non bisogna lasciarsi sfuggire.
Distribuito da CG Entertaiment, Leonor è disponibile in dvd, in formato 1.78:1, con audio in italiano e originale (DD Dual Mono) e sottotitoli opzionabili. Nei contenuti speciali la galleria fotografica.
Luca Biscontini
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