King Arthur – Il potere della spada è un film del 2017 diretto da Guy Ritchie.
Il regista di King Arthur
Guy Ritchie è probabilmente l’unico artista contemporaneo capace di trasformare un mito in leggenda. Ce ne aveva già dato prova nel 2009 con Sherlock Holmes, quando aveva portato uno strampalato Robert Downey Jr. e un razionale Jude Law a mettere un pò di ironia e humor nero in una detective story dall’impianto classicheggiante. Adesso Ritchie punta alla trasposizione cinematografica della storia di Re Artù firmando King Arthur e prendendo a piene mani il materiale e i personaggi dal Lancelot – classico volume francese di Chrétien de Troyes – e infittendo la trama con suggestioni del ciclo bretone e particolari autobiografici rubati alla storia dell’omonimo sovrano britannico.
Metacinema
Sorta di creatore shelleyano, Ritchie è abituato a prendere un’opera classica e a destabilizzarla dall’interno per plasmarla a sua immagine e somiglianza. Ecco quindi che anche in questa pellicola si respira un’aria centrifuga in cui realtà, immaginazione, sortilegi e magia si fondono e si confondono in modo indissolubile. Impossibile dunque distinguere tra incubi, visioni e allucinazioni che si sovrappongono in ogni fotogramma per condurre la pellicola direttamente all’esasperazione della stessa pratica metacinematografica.
La figura tradizionale dell’eroe perfetto lascia presto il posto a un uomo di strada, gretto, avido e corrotto che si guadagna da vivere rubando ai ricchi per sfamare i suoi forzieri nascosti piuttosto che i poveri. Antieroe per eccellenza, Artù non conosce altro valore che il denaro e possiede un’idea confusa di famiglia. Facendolo allevare in un bordello e crescere nel fango, però, il suo acerrimo nemico, lo zio Vortigern, forgia un vero e proprio guerriero, abile con le lame ed esperto conoscitore dell’arte della guerra. E così il protagonista conquista il potere della spada, presentandosi come un supereroe ultra tecnologico che domina la daga esattamente come Thor domina il martello. Excalibur, infatti, si rivela il vero macguffin della vicenda, il deus ex machina della narrazione e il punto focale dell’intera vicenda.
La narrazione di King Arthur
L’abilità maggiore di Richie, comunque, è quella di gestire al meglio l’impianto narrativo senza mai prendersi sul serio, giocando con i suoi protagonisti, chiassosi, fracassoni e sboccati quanto basta. Inoltre, le scenografie maestose che ospitano la vicenda e le musiche originali di Daniel Pemberton (Gold – La grande truffa) che la supportano, creano la cornice ideale per esaltare un prodotto che, senza pretese diverse dall’intrattenimento e dal divertimento allo stato puro, merita il giusto plauso nel panorama contemporaneo.
Martina Calcabrini