Dopo Monica e il desiderio (1952), film che ancora oggi non cessa di provocare il più vivo interesse, se non altro per la famosa sequenza in cui, per la prima volta, un’attrice (Harriet Andersson) dirigeva il proprio sguardo verso la macchina da presa, Ingmar Bergman realizzava Una vampata d’amore, un’opera intesa, malinconica, dove i personaggi messi in scena soccombevano di fronte alle prove estenuanti che la vita gli metteva di fronte.
Sebbene ad essere rappresentato fosse il rapportato tormentato, segnato dal tradimento, tra un direttore di un circo (Åke Grönberg) e la sua giovane amante Ann (ancora la torbida e sensuale Harriet Andersson), ciò che probabilmente il regista svedese voleva trattare in Una vampata d’amore (1953) era la questione della perdita della speranza, laddove il protagonista, Albert Johansson, pur ferito profondamente dalla scappatella della compagna con il giovane e affascinante uomo di teatro Frans (Hasse Ekman), non trova la forza di reagire, di cominciare da capo, preferendo trascinare la propria esistenza, incapace com’è di cambiare direzione.
Una vampata d’amore comincia con una sequenza di una potenza inaudita: il cocchiere della carovana del circo ricorda ad Albert un episodio avvenuto sette anni prima, quando Alma (Gudrun Brost), la moglie del clown Frost (Anders Ek), durante una giornata estiva particolarmente calda, si concesse un bagno al mare con qualche militare di un reggimento intento a eseguire manovre di esercitazione; avvertito dell’accaduto, Frost accorre alla spiaggia per andare a riprendere la non più giovane donna, e, schernito senza sosta dai vari soldati che assistevano divertiti al tragicomico evento, lo vediamo incedere faticosamente abbracciato alla donna, di cui tenta di coprire invano le nudità.
L’elemento autobiografico in Una vampata d’amore
Bergman, senza troppo fronzoli, giunge subito al cuore della questione, mostrando allo spettatore una scena straziante, che rasenta l’incubo, e che, a distanza di più di sessant’anni, non cessa di provocare un deciso turbamento. Il regista, successivamente, confessò che prima di girare il film visse un rapporto tormentato, aggravato dal fatto che, su sua richiesta, la compagna di allora gli raccontò tutti i particolari di un tradimento che effettivamente si verificò. Nel film, dunque, c’è un forte elemento autobiografico, e una conseguente, e neanche troppo velata, demonizzazione del femminile, presentato con un’ambiguità costitutiva, di fronte alla quale il maschio non può che soccombere.
In realtà, poi, a ben vedere lo sviluppo complessivo della storia, non si tratta esclusivamente di un’opera sulla differenza di genere, bensì di una riflessione più ampia sulla condizione umana, giacché quantunque i protagonisti (Albert e Ann) desiderino cambiare strada e vita – nella fattispecie smetterla col nomadismo da circo – finiscono col proseguire acriticamente un corso che ormai pare ineludibile.
Una vicenda maliconica e struggente
Albert, umiliato due volte, in quanto prima tradito e poi addirittura malmenato dall’amante della compagna, prima tenta il suicidio, e poi tutto ciò che riesce a fare è uccidere l’innocente orso del circo, spostando palesemente l’oggetto della sua ira. Insomma, il fallimento è pressoché totale, e l’atmosfera malinconica del circo, con le sue musiche ilari e tragiche al tempo stesso, si rivela assai congeniale al dipanarsi di una vicenda che svela quella radicata sfiducia che il regista svedese aveva nei confronti dell’essere umano. Tutta la cinematografia di Bergman è attraversata da questa inquietudine, e in Una vampata d’amore comincia a prendere forma quell’iconografia impressionista, dal forte impatto emotivo, che poi sarebbe stata superbamente sviluppata nelle successive opere (viene in mente in tal senso lo splendido Persona, in cui la riflessione esistenziale si unisce caparbiamente a quella sul cinema, generando un forte sgomento nello spettatore).
Pubblicato e distribuito da Ripley’s Home Video, Una vampata d’amore è disponibile in dvd, in formato 1.33:1 con audio in italiano e originale e sottotitoli opzionabili.
Luca Biscontini