Una gita a Roma, il delizioso film di Karin Proia con Claudia Cardinale e Philippe Leroy. Karin Proia, prima che una valente attrice, è una donna intelligente, di buon senso. Grazie alla propria tenacia, ha attirato per il lungometraggio d’esordio delle ottime professionalità, tra le quali spiccano nomi altisonanti, che hanno creduto nella bontà del progetto da realizzare. Disponibile su Chili.
Una gita a Roma: i temi del film
Una gita a Roma è un film discreto, che posa l’occhio sul sentire dell’infanzia. Tocca, quindi, un tema troppo spesso evitato dalla cinematografia nostrana, timorosa di mancare l’interesse del pubblico. Un film, dunque, coraggioso, laddove la dimensione sacra dell’infanzia (sacra, perché i bambini sono immuni, per loro fortuna, al mortale tocco del fatalismo rinunciatario degli adulti, e sono, soprattutto, capaci di sognare) si incontra con l’eccedenza della Grande Arte, nella fattispecie quella incarnata dal Giudizio Universale di Michelangelo, che i due protagonisti, i piccoli Francesco e Maria, vogliono a tutti i costi visitare. La bellezza, in tal modo, è declinata in due modi giustapposti, contingenti, che ci ricordano quanto sia necessario scrollarsi di dosso quegli orpelli che ci velano lo sguardo, impedendoci di stupirci ancora, di delirare quasi davanti a qualcosa che esubera lo scialbore della monotonia della vita quotidiana.
Una Gita a Roma: la regia
La sequenza finale (non crediamo con questa rivelazione di rovinare la visione del film), che vede il sovrapporsi delle volte celesti della Cappella Sistina e del viso festante ed estasiato di Francesco, restituisce con un’immagine pregnante l’articolazione del rapporto tra sguardo e opera, giacché il soggetto non è più solo di fronte a un oggetto, con un atteggiamento intenzionale, ma sprofonda in esso, dando luogo a un’indiscernibilità che convoca a ripensare fino in fondo il processo di fruizione. Non c’è una soglia che divide e che impone di sbattere sul muro della rappresentazione, piuttosto si configura una trasfigurazione che riposiziona lo sguardo, e il soggetto, allora, è sottoposto a una mutazione, laddove la bellezza si è travasata in lui, arricchendolo.
Gli attori
Basterebbero queste considerazioni a decretare la bontà di Una gita a Roma. Ad impreziosire ulteriormente il quadro complessivo concorrono, e non poteva essere altrimenti, le toccanti prestazioni di due giganti del calibro di Claudia Cardinale e Philippe Leroy. I due, nel ruolo di una coppia di anziani che dà temporanea accoglienza ai ragazzini fuggiaschi, regalano alcuni minuti di pura poesia. Vedendo quelle preziose sequenze pare di scorgere il cinema stesso rivelarsi, come se per un attimo ci si astraesse dalla convenzione della finzione. Claudia Cardinale e Philippe Leroy attraversano con i lori corpi di attori il film, aprendo una meravigliosa parentesi che rimanda a un fuori campo assoluto che non smette di riverberare su ogni fotogramma. Il cinema all’improvviso irrompe nel cinema, e il risultato non è, come si potrebbe di primo acchito pensare, un raddoppiamento, una surcodificazione o ri-presentazione, piuttosto è uno sprofondamento che dona una gioiosa levità, perché emerge, zampillando in tutta la sua freschezza, il gioco, ciò che dovrebbe costituire l’essenza della recitazione (to play, jouer).
La Musica
Ma non è tutto. Le musiche di Nicola Piovani forniscono un’atmosfera sognante che accompagna lo spettatore nel corso dei 90 minuti di visione. Allora, come si diceva in precedenza, non resta che sprofondare, intendendo con ciò il bisogno di ritornare bambini. Nel senso deleuziano: ‘divenire-bambino’, ovvero retrocedere a quando il potere non si era ancora attualizzato in una forma immobile.
Una gita a Roma, film totalmente indipendente, è stato realizzato con delle risorse molto contenute e con non pochi sforzi, ma l’esito è buono. A dimostrazione di come quando c’è un’idea di cinema (e non un cinema di idee) si possano ottenere considerevoli risultati.
Luca Biscontini