Fu nel 2011 che, in occasione della consegna del Leone d’Oro alla carriera a Marco Bellocchio nell’ambito della Sessantottesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Rai Cinema provvide a racchiudere in due cofanetti dvd – distribuiti da 01 Distribution – otto titoli diretti dallo storico regista piacentino, selezionati per rappresentare le tappe fondamentali della sua carriera.
Comprendenti I pugni in tasca (1965), Vacanze in Valtrebbia (1980), Addio al passato (2002), Sorelle Mai (2010), L’ora di religione (2002), Buongiorno, notte (2003), Il regista di matrimoni (2006), Vincere (2009), due cofanetti intitolati Marco Bellocchio collection e Marco Bellocchio collection 2, ai quali va ora ad aggiungersi Marco collection 3, dispensatore di altri tre fondamentali lavori sfornati dall’autore di Sbatti il mostro in prima pagina (1972) e Diavolo in corpo (1986).
Tre fondamentali lavori a cominciare da Bella addormentata (2012), che, corredato di trailer e making of di oltre mezz’ora, si sintetizza in un dramma corale atto ad inscenare in vari luoghi d’Italia le storie di personaggi di fantasia caratterizzati da diverse fedi e ideologie, nel corso degli ultimi sei giorni di vita di Eluana Englaro, costretta a diciassette anni di stato vegetativo prima dell’interruzione della nutrizione artificiale.
Personaggi che, con i volti di Toni Servillo, Alba Rohrwacher, Michele Riondino, Isabelle Huppert, Pier Giorgio Bellocchio e Maya Sansa, vanno da un senatore – che si trova a dover scegliere se votare per una legge che va contro la propria coscienza o non votarla – a sua figlia, attivista del movimento per la vita che s’innamora di un ragazzo dell’opposto fronte laico; passando per una grande attrice che cerca nella fede e nel miracolo la guarigione della figlia, da anni in coma irreversibile, e un giovane medico che si oppone con tutte le forze ai tentativi di suicidio di una donna disperata.
Tutti al servizio di una riflessione esistenziale in fotogrammi sul perché dell’esistenza e della speranza che, senza trascurare il contesto socio-politico nel mostrare i protagonisti influenzati dalle più o meno discutibili decisioni prese da coloro che si trovano al potere in una Italia ormai cinica e depressa, tira in ballo anche il grandissimo Roberto Herlitzka nel ruolo di uno psichiatra pronto ad affermare che i parlamentari, spesso insultati dal popolo, sono in realtà dei disperati, degli infelici.
Lo stesso Herlitzka che troviamo in Sangue del mio sangue (2015), accompagnato da trailer e galleria fotografica, nonché, in un certo senso, escursione bellocchiana dalle parti degli stilemi tipici della celluloide horror.
Del resto, diviso in due distinti segmenti, l’elaborato si costruisce su un primo ambientato a Bobbio nel Seicento, dove una suora proto-Monaca di Monza viene inquisita per aver sedotto un sacerdote cui viene negata la cristiana sepoltura in seguito al suicidio, e su un secondo che vede un artista miliardario russo, ai giorni nostri, interessato ad acquistare proprio l’edificio che ospitò l’inquisizione.
Edificio al cui interno dimora segretamente un conte (Herlitzka, appunto) che non appare molto distante dalla figura di uno spettro (si dice sia morto da qualche anno) o di un vampiro (gira soltanto di notte); sebbene, come c’era da aspettarsi, ci troviamo tutt’altro che nel territorio del genere in senso stretto.
Perché, con Filippo Timi, Toni Bertorelli e i sopra menzionati Rohrwacher e Bellocchio jr inclusi nel cast, la forte teatralità dell’insieme non mira altro che a sfruttare i volti coinvolti in qualità di simboli, metafore umane immerse in una eterna esistenza enfatizzata, non a caso, da passato e presente qui raccontati in sequenza; fornendo, parallelamente, un nient’affatto velato sguardo analitico concentrato sulla contemporaneità che cambia.
E si conclude con Fai bei sogni (2016), tratto dall’omonimo romanzo di Massimo Gramellini e nel quale Valerio Mastandrea incarna magnificamente proprio il giornalista, intento negli anni Novanta a far luce sulle reali cause della morte della madre, venuta misteriosamente a mancare quando era bambino.
Infatti, è il tema della perdita della propria genitrice quando si è ancora infanti e la sua accettazione a trovarsi al centro dell’operazione, messa in piedi con un piglio a suo modo nostalgico testimoniato non solo da Canzonissima e Belfagor trasmessi in tv, ma anche momenti che sfoderano la squadra calcistica del Grande Torino e vecchi vinili di Deep purple, King Crimson e Rolling stones.
Man mano che, dal capoluogo piemontese, si passa anche a Roma e alla Sarajevo della guerra, dove si concretizza una delle situazioni più toccanti del lungometraggio, destinata a fare il paio con quella addirittura commovente della lettera.
Mentre vecchi successi – da Scende la pioggia di Gianni Morandi a Surfin’ bird dei Trashmen – fanno da colonna sonora e Bérénice”The artist”Bejo e Guido Caprino vestono rispettivamente i panni del fondamentale personaggio di Elisa e del padre di Massimo.
Ma non manca neppure Herlitzka, stavolta brevemente calato nell’abito talare di un prete impegnato a ricordare, tra l’altro, che Dio deve esserci per dare un senso alla nostra esistenza in quanto è l’unica speranza… con trailer, galleria fotografica e piccolo making of nella sezione del disco riservata ai contenuti extra.
Francesco Lomuscio