Ieri, Sergio Castelitto è stato ospite del Lucca Film Festival e Europa Cinema e verso mezzogiorno ha incontrato la stampa con la mediazione del critico Mario Sesti.

Durante l’incontro Castellitto ha lodato la grande libertà che le serie televisive moderne offrono:
Viva le serie e la loro libertà verticale. Viva Black Mirror. Io prima non le guardavo e è stato mio figlio che, ad un certo punto, ha cominciato a consigliarmi roba seria come Breaking Bad. In Italia, purtroppo siamo rimasti molto indietro: ma voi ci pensate alla Rai o a Sky che ti fanno vedere Matteo Renzi che si accoppia con una scrofa? Per raccontare Tangentopoli hanno dovuto assumere uno stuolo di avvocati per cautelarsi.
Alcuni registi italiani come Sorrentino hanno capito che per essere più liberi bisogna tentare la via della serialità. Ma se è vero che la serie ti permette di approfondire, la vera sfida del cinema è quella di riuscire a farlo in 1h e 50 minuti.
Per Castellitto, nonostante il cinema italiano sia in evidente affanno, non bisogna dimenticarsi che è il cinema la vera sfida per attori e registi
Il cinema è poesia ma costa un sacco di soldi. Anzi, a volte non riesce neanche ad essere poesia e finisce solo per costare un sacco di soldi. Nel nostro Paese c’è sempre la volontà di rincorrere la commedia. Ma se prima nella commedia si inseriva la tragicità della realtà, ora si punta a fare film comici basati su trovate. Io sono convinto che lo scrittore di cinema debba cercare lo scandalo, ovvero cercare una possibilità narrativa diversa e non quella che sembra inizialmente la più sorgiva.
L’attore ha spiegato cosa sia per lui la recitazione
Recitare è un gesto confessionale, così come lo è la psicoterapia“, ha spiegato Castellitto. “Vuol dire incontrarsi a metà strada con un fantasma. Quel fantasma che si trova sulle pagine della sceneggiatura. Io non sono mai andato in terapia ma ho recitato per 30 anni. Quindi è come se l’avessi fatta.
Quando intervengo e gli chiedo cosa si dovrebbe fare per cercare di risollevare le sorti della televisione pubblica che è decenni indietro rispetto alle emittenti francesi, americane o inglesi, Castellitto mi risponde così
Io tengo famiglia! Scherzi a parte, la Rai è un luogo politico, non un luogo creativo e comunque la tv pubblica deve fare i conti con un pubblico storico che è quello e si è ormai cristallizzato. Poi sono arrivate le tv commerciali che hanno dapprima creato un degrado, soprattutto nei rapporti umani, visti come sono rappresentati nei reality e nei programmi in cui la gente litiga. Poi per fortuna è arrivata Sky, non lo dico perché sono cliente. Bisogna ricordare che non ho fatto solo In Treatment. Io ho fatto la televisione generalista, quella che si accende nelle corsie degli ospedali: ho fatto Padre Pio, Don Milani, Fausto Coppi.
Con In Treatment ho capito che era invece quella la svolta industriale e creativa da seguire. Ho scoperto che uno dei creatori della serie originale, Hagai Levi, è il figlio di Moshe Dayan, forse voi siete troppo giovani per ricordarlo ma mi sa che qualche problema col padre ce l’ha avuto.
A proposito del sito per cui scrivi, strano che nessuno abbia pensato finora ad una serie ispirata a Taxi Driver: 12 notti, 12 incontri di un tassista romano.
Andrea Bianciardi