“Esce anche in Italia la nuova opera di Jared Hess, mantenendo le caratteristiche sia contenutistiche che visive, spesso accostate a quelle del Wes Anderson dei film precedenti”.
Esce anche in Italia la nuova opera di Jared Hess, regista di Napoleon’s Dynamite (2004) e Nacho Libre (2006), mantenendo le caratteristiche sia contenutistiche, incentrate su personaggi ai margini ma con una forte volontà di rivalsa, che visive, spesso accostate a quelle del Wes Anderson dei film precedenti.
Gentlemen Broncos è il lavoro più personale e maturo del regista, rappresentando una summa dei suoi temi. Il giovane Benjamin ama scrivere per diletto storie di fantascienza spicciola, sognando un giorno di essere pubblicato. Un giorno partecipa a un seminario per giovani talenti in cui il tronfio scrittore di successo Chevalier mette in palio una piccola pubblicazione. Peccato che questi sia in totale crisi creativa e, leggendo la storia di Ben, decida di appropriarsene pubblicandola a suo nome. Intanto Ben finisce nelle mani della più scalcinata delle produzioni cinematografiche amatoriali che devasta totalmente il suo romanzo. Come da tradizione, Hess costella la provincia americana di personaggi surreali al limite del grottesco: una madre ossessionata dalla sartoria, un dispettoso angelo custode con un boa albino diarroico, un’approfittatrice completamente obnubilata dalla smania di successo e l’ombra di un padre defunto che è la proiezione di Broncos, il protagonista del suo romanzo sci-fi.
Il tema che proietta la storia rispecchia la frustrazione di un protagonista talentuoso, che si trova a fare i conti con il più becero degli star system e la mediocrità che lo circonda. Un sottile atto di accusa verso quello che è il mondo del cinema, costantemente ostacolato da figure improponibili. Dialoghi esilaranti accompagnano il concetto che c’è chi si sente istituzionalizzato a rendere diktat idee senza né arte né parte. Particolarmente ispirata l’idea di mostrare il racconto di Benjamin attraverso la sua immaginazione e quella invece del superficiale e tonto Chevalier che, oltre ad essere assolutamente esilarante, la dice lunga sulla prospettiva di concepire un prodotto artistico. Peccato che il doppiaggio italiano si prenda ben più di una libertà. Cambiando i dialoghi in maniera spesso volgare, il che diventa ancora più grottesco considerando che si tratta di un film che parla di rispetto verso l’opera artistica.
Gianluigi Perrone
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