Sinossi
Nathalie (Isabelle Huppert) insegna filosofia in un liceo di Parigi, è sposata con Heinz (André Marcon) ed è madre di due figli. Un pò stanca e con la giusta dose di disincanto ha il suo bel da fare tra il disturbo delle manifestazioni studentesche, per lei quasi patetiche, e l’anziana madre depressa (Edith Scob), vecchia gloria delle passerelle ed aspirante suicida.
Nathalie, ora che ha abbandonato le idee rivoluzionarie e l’attivismo della giovane età, coltiva la filosofia come stile di vita e cerca attraverso i testi e il pensiero filosofico di stimolare continuamente il confronto, con i suoi alunni e non solo. Ama molto il suo lavoro e si vede, nonostante tutto ha un buon rapporto con i suoi studenti: pur essendo di vecchio stampo ama fare lezione all’aperto, al parco, un modo adeguato per insegnare ai suoi ragazzi a pensare con la propria testa.
Un esempio di questa stima reciproca viene evidenziato dal legame forte che ha con Fabien (Roman Kolinka), un suo ex studente che ancora vede spesso per fare il punto sulla sua crescita come uomo, come scrittore e come filosofo. Entrambi scrivono saggi scolastici per la casa editrice Cartet, suo un brillante volume su Adorno, di cui Nathalie da buona insegnante è particolarmente orgogliosa.
Un bel giorno, però, la vita di Nathalie viene scombussolata dal marito che trova il coraggio di fare “outing: si sta vedendo con un’altra donna e ha deciso di separarsi. Da qui tutto cambia e Nathalie dovrà fare i conti col suo avvenire e con se stessa in modo diverso, più sola ma anche più libera.
Recensione
Le cose che verranno è un film fatto di dibattiti e di riflessioni: sul tempo, sulla verità, sulla dicotomia che c’è tra sguardo oggettivo e credenza. Il film in modo mai banale fa perno sul pensiero filosofico servendosi anche delle citazioni di grandi pensatori del passato, su tutti Rousseau e Pascal. Il confronto, se in modo esplicito è sui temi della rivoluzione, in modo più implicito rimanda all’amore e alla libertà, con tante suggestioni ad una nuova rivolta che le generazioni più o meno giovani avrebbero il diritto di provare, come minimo col pensiero, con le parole e negli scritti.
I giovani, anche se attraverso i filtri e le vicissitudini di Nathalie, sono anch’essi protagonisti dell’opera, si mettono alla prova anche in modo velleitario in manifestazioni di dissenso, a contatto con quelle teorie e quelle idee rivoluzionarie che purtroppo in più di un’occasione sembrano appartenere a generazioni lontane. Il dibattito si alimenta nel corso del film fra ideologie radicali, anarchiche e il confronto con chi come Nathalie era comunista. Tra chi ritiene opportuno manifestare e chi no, tra chi si oppone con un gesto radicale, talvolta anarchico e chi invece si limita a firmare delle petizioni, oppure chi fa la rivoluzione del pensiero e li si ferma, e “scusa se è poco” direbbe la protagonista. Chi come Fabien vuole tracciare una sua realtà, fuori da tutto, partire e trovare la saggezza, in un luogo incontaminato dove interrogarsi e trascrivere un nuovo modello di potere che sappia prescindere da quello che già esiste, che sia lontano dalle dinamiche della globalizzazione, che sia lontano dal liberismo e dalle imposizioni del mercato. In questo più di qualche segnale va verso il disincanto e l’insoddisfazione per una classe politica che probabilmente non ci rappresenta più. Per farlo Mia Hansen-Løve si serve dell’insoddisfazione di Nathalie e del Contratto sociale di Rousseau.
Il mondo giovanile sul cui si focalizza la giovane cineasta è diverso da quello del precedente Eden, dove si narravano le vicissitudini di una generazione chiusa nelle proprie disperazioni sublimate dalla musica elettronica. Nelle sottotracce de Le cose che verranno si percepisce un leggero cambiamento, una generazione apparentemente più attiva e combattiva, meno remissiva e stanca.
Le cose che verranno è un racconto che, pur aprendo continuamente il dialogo con i giovani, sa prendersi cura anche delle altre età. Fra ideologia e filosofia, l’avvenire è quello della protagonista Nathalie, ma è anche quello di suo marito Heinz, oltre che del suo pupillo Fabien, dei suoi figli e del nipote appena nato.
Nel film di Mia Hansen-Løve non mancano gli omaggi e le citazioni, da quella esplicita proiettata nella scena del cinema con Copia Conforme di Abbas Kiarostami, a ricordare uno dei temi portanti del film – la difficoltà di ricorrere all’oggettività nella valutazione di sè e delle verità che ci riguardano ogni giorno – fino ai rimandi a Eric Rohmer, fra gli autori preferiti della regista francese, e a quel triangolo equivoco in stile La mia notte con Maud in cui in più di qualche occasione abbiamo il timore di imbatterci.
Il dibattito si focalizza anche sull’autorialità: l’autore è un concetto borghese, l’arte non è individuale. E qui i richiami sembrano andare anche a Dogma 95, manifesto a cui la regista sembra in più di qualche punto ispirarsi.
Si reitera l’interrogativo sulla chiave della felicità, sul ruolo cruciale del desiderio e della speranza, come si reitera nei personaggi la paura, il pianto per l’incapacità di comprendere qual è la retta via da seguire, come comprendere l’incomprensibile, l’incognita del domani e di ciò che verrà.
Mia Hansen-Løve con questa opera guarda con consapevolezza dentro la sua generazione e dentro al contemporaneo, in fin dei conti è una giovane poco più che trentenne, fa parte di quel mondo che deve più che mai lottare per il proprio avvenire, fa parte del mondo di Fabiane che è un suo coetaneo, avrà avuto anche lei un’insegnante come Nathalie, probabilmente i suoi interrogativi ed i suoi reclami sono gli stessi che si pone il suo giovane personaggio.
Da questi interrogativi è emersa un’ottima rappresentazione della filosofia nel cinema, uno sguardo misurato per indagare e provare a comprendere il nostro avvenire. Un’opera che denota maturità registica e la definizione concreta di uno stile e di una poetica raffinata per la giovane cineasta parigina.
Lorenzo Ceotto