Sabato 25 marzo al cinema La Compagnia, gremito e stracolmo per l’occasione, ha avuto luogo la masterclass di Park Chan-wook, l’ospite d’onore della quindicesima edizione del Florence Korea Film Fest. Quest’anno la rassegna fiorentina, l’unica in Italia dedicata completamente al cinema sudcoreano, dedica all’acclamato autore di JSA, Oldboy e Thirst una corposa retrospettiva che comprende quasi tutti i suoi lavori, compresi i cortometraggi, ad eccezione di The Moon Is The Sun’s Dream e Saminjo, i primi due lungometraggi realizzati negli anni ’90 che non incontrarono il favore di pubblico e critica.
Park Chan-wook è a Firenze già da qualche giorno, giovedì e venerdì ha assistito in sala alle proiezioni di The age of shadows del collega e amico Kim Jee-woon e di Tunnel di Kim Seong-hun. Disponibile e partecipe, minuto e cordiale, dai modi gentili e affabili, non si è risparmiato negli incontri con la stampa e in questa lunga lezione di cinema di cui hanno potuto beneficiare molti suoi fan, compresi diversi giovani studenti universitari.
Il cineasta sudcoreano ha iniziato la sua lunga conversazione col critico cinematografico Marco Luceri e col professore di Storia del cinema Luigi Nepi partendo dai suoi primi ricordi sulla Settima Arte.
“Da piccolo insieme ai miei genitori guardavo i film hollywoodiani ed europei, soprattutto francesi e italiani, che passavano in tv nel fine settimana. Ricordo che leggevo sul giornale i titoli dei film in programma in tv a mia mamma, mentre era indaffarata in cucina. Le opere che mi hanno folgorato da giovane e mi hanno portato a intraprendere questo mestiere sono Fire Woman di Kim Ki-young e soprattutto Vertigo di Alfred Hitchcock. Tra gli autori che più mi hanno influenzato c’è anche Luchino Visconti, un regista per cui ho sempre nutrito un profondo rispetto e di cui mi sono ricordato per il mio ultimo film, The handmaiden. Purtroppo i miei primi due lungometraggi non hanno avuto fortuna e così, per potermi mantenere, ho iniziato a fare il critico cinematografico. Scrivevo moltissimi pezzi perché in Corea non si guadagna granché a scrivere di cinema.” (anche in Italia ne sappiamo qualcosa, purtroppo).
Nel rispondere a come nascano le idee alla base dei suoi film Park ha detto che il processo creativo cambia di progetto in progetto.
“Oldboy è tratto dal celebre manga giapponese, per Lady Vendetta mi sono ispirato ad una notizia di cronaca nera che mi aveva colpito e scioccato (una donna incinta che aveva ucciso un bambino) mentre Thirst è nato dalla voglia di adattare il romanzo Teresa Raquin di Zola contaminandolo coi miei ricordi d’infanzia, di quando mi recavo in chiesa e vedevo il prete che bevendo il vino diceva che era il sangue di Cristo, facendomi sempre pensare ai vampiri. Nell’immaginario collettivo il vampiro vive in eterno, a differenza degli esseri umani che temono la morte, è elegante, assomiglia ad una divinità ma al contempo è anche una creatura mostruosa dato che necessita di sangue fresco per non morire.”
“Per i miei film, a partire da JSA, il mio primo grande successo, utilizzo sempre lo storyboard che facilita e semplifica il lavoro in sede di montaggio. A riprese ultimate mi capita raramente di apportare delle modifiche in fase di montaggio rispetto allo storyboard iniziale. È davvero raro ma quando accade è dovuto principalmente alla recitazione degli attori, che talvolta può sorprendermi e spiazzarmi. Per il piano sequenza del combattimento nel corridoio in Oldboy, ad esempio, l’idea iniziale prevedeva diversi stacchi e inquadrature. Ho deciso di convertirla in un’unica inquadratura per rendere meglio il senso di spossamento, dolore e solitudine del protagonista. Non ero sicuro che Choi Min-sik sarebbe stato in grado di reggere una scena così faticosa ma alla fine è andata per il verso giusto. Per questa sequenza mi sono rifatto anche alle illustrazioni della mitologia greca presenti sui dipinti dei vasi antichi. I più giovani invece quando vedono questa scena pensano sempre ai combattimenti dei videogames!”
Una piccola postilla: rimanendo a Oldboy il regista, in conferenza stampa, rispondendo a una domanda in merito al remake americano aveva dichiarato che era stato alquanto strano assistere al rifacimento del suo film da parte di Spike Lee, un autore che ha sempre apprezzato. Tuttavia la considera un’esperienza interessante perché al termine della visione ha avuto modo di riflettere soprattutto sulle modifiche rispetto al suo film originale.
Park ha poi commentato la sua esperienza americana sul set di Stoker.
“Devo dire che non ero proprio a mio agio ma in fondo il linguaggio cinematografico è universale. Il sistema produttivo coreano lascia una maggiore libertà artistica rispetto a quello hollywoodiano dove gli studios detengono un potere enorme. D’altronde è risaputo che sia così e lamentarsene troppo sarebbe come andare in Antartide e piagnucolare per il freddo. Per Stoker mi sono confrontato e ho molto discusso coi produttori e penso che alla fine ne sia nato un dibattito stimolante e produttivo, utile a migliorare il risultato finale del film.”
“Nella mia filmografia ricorre spesso il tema del mistero, tutti quanti noi ci chiediamo perché nasciamo e viviamo in un determinato periodo storico, un po’ come in Old boy il personaggio principale si ritrova rinchiuso e imprigionato senza conoscerne i motivi. Il mistero si ricollega anche al cercare di sciogliere, per quanto possiamo, questo enigma.”
“Uno degli aspetti più difficili e stimolanti del mio lavoro, in particolar modo quando adatto un romanzo, è quello di trasporre sul grande schermo le emozioni e i sentimenti dei vari personaggi. Per The handmaiden mi sono ispirato al romanzo di Sarah Waters, Ladra, modificando l’epoca storica e spostando l’azione dall’Inghilterra alla Corea. Ho voluto fare un film femminista e ho apportato diversi cambiamenti per accentuare il legame, via via sempre più forte, tra le due protagoniste che inizialmente mirano solo a servirsi l’una dell’altra.“
È inevitabile quando si ha l’opportunità di interloquire con Park Chan-wook, il poeta della vendetta, soffermarsi sugli aspetti più sanguinari e violenti delle sue pellicole.
“Penso che l’animo umano sia fatto anche di sentimenti, pensieri ed emozioni negative. La violenza è innata nell’uomo ma se impariamo a conoscere meglio il nostro io interiore allora forse saremo in grado di combattere meglio questi aspetti negativi. Sono fermamente convinto che ognuno di noi possiede un lato maschile ed uno femminile e che la maggioranza degli uomini non voglia vedere o far emergere la propria componente femminile, probabilmente per vergogna. Se invece la si accetta s’imparano e si comprendono diverse cose su noi stessi, come ho avuto modo di scoprire io stesso. A tal proposito posso solo ringraziare le donne della mia vita, mia moglie e mia figlia, che mi hanno aiutato in questo processo di svelamento.”
Boris Schumacher