Sinossi
La vita di Sunita (Kaushalya Fernando), donna srilankese di mezza età emigrata in Italia, si svolge negli spazi bui di due appartamenti: quello in cui lavora come badante presso un’anziana paraplegica (Nella Pozzerle) e quello minuscolo che ha affittato per il figlio adolescente (Julian Wijesekara), che non sopportava i continui lamenti della signora. Il ragazzo, che ha tutti i problemi che si possono avere a quell’età, disprezza la figura della madre – peraltro assente forzata per la quasi totalità del tempo – nonostante sia proprio l’umile lavoro di lei che non gli fa mancare nulla dal punto di vista materiale, e cerca conforto nella cattiva compagnia di due coetanei locali.
Recensione
Come in Vieni a Vivere a Napoli, nelle sale questa settimana, anche in Per un figlio abbiamo uno “sguardo sull’Italia da parte dell’altro”, ma a differenza della suddetta commedia in tre episodi qui il tono è decisamente meno leggero (benché anche in quella ci vengano mostrate le disavventure di una badante).
Insomma, ci sembra evidente che il cinema italiano stia decisamente interessandosi ad alcune persone e figure sociali che da un po’ di tempo sono lì – accanto a noi – ma che altrettanto a lungo non sono state considerate (non solo dal cinema, ovviamente, bensì dalla società in generale), perché aliene: ecco allora da qualche anno a questa parte comparire sugli schermi nazionali (anche se spesso per una sola settimana a film) tutta una serie di badanti, bariste, camerieri, ambulanti, ecc. di origine straniera, che da mere comparse stanno diventando ora i protagonisti dei film italiani. Qui siamo forse già oltre, visto che quasi tutte le figure principali del cast tecnico – compreso il regista Suranga D. Katugampala, come gli altri al suo primo lungometraggio (la veterana dell’operazione – oltre all’attrice principale, che scopriamo essere molto popolare nel suo paese – sembra essere infatti la montatrice Lizi Gelber, che ha lavorato in molti documentari tra cui l’importante The Agronomist del 2003) – condividono l’origine etnica dei personaggi rappresentati, conferendo così un surplus di verisimiglianza alla storia mostrata.
Come in Io sono Li (di Andrea Segre, 2011), anche quello ambientato in Veneto, siamo alle prese col rapporto tra una madre costretta ad emigrare e suo figlio: ma a differenza che nel fortunato film di Segre – dove compare soltanto alla fine, quale premio dei sacrifici della madre – in Per un figlio, il figlio è in scena sin da subito, e il rapporto tra i due è decisamente problematico.
La camera a mano pedina i personaggi, facendoci partecipi della loro solitudine e dei loro silenzi: perché il film sembra voler parlare anche di qualcosa di più universale rispetto alla tematica migrazione/integrazione, ovvero dell’alienazione e del bisogno disperato di calore umano caratterizzante la società contemporanea tout court, l’altra faccia di un certo benessere materiale diffuso che ormai contraddistingue alcune aree (ma non altre) del nostro pianeta.
Sunita è mostrata molto spesso in controluce e di profilo, nell’ombra; la metafora ci sembra – per usare un bisticcio – molto chiara: la sua è una vita sacrificata ad altre due, ad una giunta ormai alla fine – per denaro – e ad un’altra che sta per fiorire – per amore.
Il tema dell’ingratitudine filiale è raddoppiato in questa storia, perché il figlio dell’anziana signora veronese non fa mai visita alla madre (fa delle piccole commissioni, ma senza farsi vedere – e infatti non viene mai mostrato sullo schermo), provocando così le sue lamentele. Tra le due donne, entrambe – benché in modi diversi – sole e prive dell’affetto dei figli, non mancano gesti di umanità; i maschi adulti sono invece quasi banditi dal mondo mostrato nel film – vedi l’assenza totale del padre del ragazzo, mai nemmeno menzionato – oppure vi hanno parti trascurabili.
Insomma, le questioni toccate sono piuttosto grosse, ed essere riusciti a farlo con un piccolo film minimalista (gli ambienti, lo stile, le poche parole, la durata: tutto) è senz’altro un merito.
Per un figlio, che ha ottenuto la menzione speciale della giuria alla 52ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, è prodotto e distribuito dalla neonata Gina Films di Antonio Augugliaro (regista del documentario Io sto con la sposa, del 2014), in collaborazione con la Cineteca di Bologna.
Edoardo Necchio