Full Metal Jacket è un film di guerra statunitense del 1987 diretto da Stanley Kubrick ed interpretato da Matthew Modine.
Nato per uccidere
Il film è ispirato al romanzo Nato per uccidere (The Short-Timers) di Gustav Hasford, un ex Marine e corrispondente di guerra che ha collaborato alla sceneggiatura. Il titolo originale si riferisce alla guaina in rame dei proiettili incamiciati, citati da uno dei protagonisti a metà della storia.
Al campo di addestramento dei marines di Parris Island il sergente Hartman imperversa. Insulta le reclute, le schiavizza, le angaria con ogni mezzo. Il loro unico compagno deve essere il fucile, l’unico scopo diventare delle macchine da guerra. Joker (Modine), per quanto indipendente e anticonformista, ci riesce. Il soldato Lawrence (D’Onofrio), soprannominato “Palla di lardo”, non regge la vita militare e i soprusi di cui è continuamente vittima e impazzisce: spara al sergente, quindi si ammazza.
Nella seconda parte del film Joker, assegnato alla sezione propaganda, ritrova in Vietnam il suo vecchio compagno “Cowboy” e ne segue il reparto in alcune azioni di guerra. Il gruppo avanza in una città devastata dai bombardamenti, apparentemente abbandonata. Finché si trova sotto il fuoco di un cecchino che inizia a decimarne le fila. Con una sortita Joker e alcuni compagni vanno a stanare il vietcong: scopriranno che è una ragazza, poco più che bambina.
Esattamente trent’anni dopo aver regalato al mondo Orizzonti di gloria, opera che resta a tutt’oggi il miglior apologo antimilitarista della storia del cinema, Stanley Kubrick tornava a realizzare un film di guerra. Lo faceva cambiando il conflitto che fa da sfondo alla vicenda, la guerra di trincea della prima guerra mondiale nel primo film, le imboscate, l’artiglieria pesante e i franchi tiratori della guerra del Vietnam in questo, ma mantenendo inalterati sia il proprio punto di vista sul militarismo sia il livello di retorica, pari a zero in entrambi i suoi lavori.
La guerra nei film di Kubrick è reale, non è propaganda (neppure involontaria, voglio dire), non presenta eroi che combattono, vincono e/o perdono epiche battaglie indispensabili per l’umanità. La guerra è qui sangue, paura, dolore e follia. E nient’altro. Si uccide o si rimane uccisi, o in taluni casi entrambe le cose, ma a fine film (e per estensione, a fine guerra) quelle morti non avranno fatto differenza alcuna sui destini del mondo in nome dei quali si suppone che tali sacrifici hanno avuto luogo.
Inutile poi star qui a cantare le lodi a Full Metal Jacket da un punto di vista più strettamente tecnico: se nel 1957 Kubrick era già un maestro, 30 anni (e 7 capolavori) più tardi la sua padronanza del mezzo non può che rasentare la perfezione.
Dei fiumi di inchiostro riversati nel corso degli anni per commentare questo film rimane impressa una definizione nella quale un critico scriveva che Full Metal Jacket è «il miglior film di guerra di tutti i tempi»; poi rendendosi conto che questa sarebbe stata un’affermazione monca, decise di modificarla con la più appropiata:«Il miglior film di guerra di tutti i tempi nonostante non sia neppure un film di guerra».
Ecco, questa descrizione calza come un guanto ad un film che trova degnissima conclusione nelle azzeccatissime note di Paint it Black degli Stones.