Foto di Lucilla Colonna
DANIELE LUCHETTI, incontrato alla presentazione del film La nostra vita.
Un regista che ci ha colpito per le scenografie autentiche e mai ricostruite, per l’efficace uso della macchina a mano e per gli intensi primissimi piani che hanno meritato la settimana scorsa a Elio Germano il premio del Festival di Cannes per la miglior interpretazione maschile.
Un uomo alla continua ricerca, che non si sottrae mai al confronto con gli altri.
Un Italiano che ha il coraggio di indagare e rappresentare gli aspetti torbidi del nostro Paese e il rimosso delle coscienze, senza dimenticare il proprio ottimismo e la speranza nel cambiamento.
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“IL PRIMO dovere di un regista credo sia trovare collaboratori di talento. Poi sul set de La nostra vita c’erano anche le persone cui voglio bene come la mia ex-moglie Stefania Montorsi e mio figlio Federico: penso che questo si senta nel risultato finale”.
“LA FAMIGLIA è l’elemento che più rappresenta noi Italiani. Me lo fece notare in Israele lo scrittore Yehoshua, che io amo molto, durante la presentazione di Mio fratello è figlio unico (2006). Ne La nostra vita c’è la famiglia che mi piacerebbe: una vera e propria rete che sostiene il protagonista nelle difficoltà. Un amore coniugale complice e sensuale. C’è anche un padre trentenne con tre figli: nella realtà chi se lo può permettere?”
“SE INVESTISSIMO di più nella comunicazione con gli altri anziché in cose, soldi, viaggi, credo che potremmo stare meglio. Nella nostra società il benessere è di facciata: badiamo più all’apparire, al far vedere agli altri, piuttosto che allo star bene veramente”.
“UN DIFETTO che vorrei non avere è la smemoratezza. A volte, per guardare avanti, mi dimentico di cose già acquisite in passato, che invece dovrei conservare gelosamente. Ogni volta che credo di aver fatto bene una cosa, passo ad altro. Ecco, il fatto di bruciare un po’ le cose alla mie spalle, questo non mi piace di me”.
“NEI FESTIVAL, anche a Venezia, si festeggiano essenzialmente le politiche culturali degli altri Paesi. Cannes (dove dal 1988 Daniele Luchetti è stato invitato a partecipare con quattro delle sue opere, NdR) è il festival di un Paese che ha una buona politica culturale e tratta il cinema seriamente”.
“UN FILM è uno strumento di conoscenza, di soddisfazione delle mie curiosità e desideri. Attraverso i protagonisti delle storie riesco a esplorare cose che altrimenti non potrei, perché non sono mai stato in guerra come I piccoli maestri (1998) o un buttero maremmano come i protagonisti di Domani accadrà (1988) o un professore come quello de Il portaborse (1991), e non sono mai stato una donna”.