“Il Dario Argento che tutti abbiamo amato, l’ingegnoso regista che ha portato il thriller italiano nelle sale di tutto il mondo, il meraviglioso autore di alcuni dei più bei titoli del nostro cinema di genere, non esiste più”.
Il Dario Argento che tutti abbiamo amato, l’ingegnoso regista che ha portato il thriller italiano nelle sale di tutto il mondo, il meraviglioso autore di alcuni dei più bei titoli del nostro cinema di genere, non esiste più.
E’ inutile recriminare sulla cattiva riuscita di un film come Giallo, o di quelli che lo hanno preceduto (La terza madre, 2007; Il cartaio, 2003).
Inutile è, soprattutto, cercare un punto di contatto reale, carnale, fisico, tra l’ultima parte della filmografia argentiana con i film che lo hanno reso un maestro del cinema di paura a livello internazionale.
Tutto questo è inutile perché non possono esserci punti di contatto fra Suspiria (1977) e La terza madre, e non ci sono comuni denominatori fra L’uccello dalle piume di cristallo (1970) e Giallo.
Non parliamo di piccoli fils rouges, come il fatto che l’omicida seriale fondi il suo squilibrio su gravi problemi di retaggio infantile, e che sfugga la macchina da presa (a dire il vero molto poco in Giallo) mentre massacra in maniera fredda e calcolata le sue vittime.
Questo è l’involucro, il primo livello di lettura. Solo il seme di uno dei tanti film di Dario Argento, e lo ritroviamo anche in Giallo. Quello che è davvero tristemente inutile è andare alla ricerca di quella cura del particolare, di quella ricerca dell’inquadratura, di quell’articolata scenografia e del sapiente lavoro sul colore che facevano sì che dei film di Argento rimanesse vivo nella memoria dello spettatore un senso estetico marcato e molto personale, magari solo un’immagine, che però avrebbe saputo rappresentare, meglio ancora di uno degli efferati omicidi, un nuovo modo di pensare al cinema di genere italiano.
Ebbene, Giallo non ha nulla del vecchio Argento.
A cominciare dal cast, composto dal premio oscar Adrien Brody e da Emmanuelle Seigner, forse il più importante mai diretto da Argento, impegnato, però, ad interpretare due tra i personaggi più inutili e meno credibili della sua filmografia. Il ‘lupo solitario’, per il premio Oscar: un ispettore di polizia freddo e razionale, senza il senso del pericolo e marcatamente asociale, segnato da un fatto di sangue, anche per lui radicato nel periodo dell’infanzia. La sorella di una delle possibili vittime, per la moglie di Roman Polanski.
Non si sa bene perché, e in realtà un vero motivo non c’è, il “lupo solitario” accetti la pedante compagnia della donna, fino a farla diventare la sua compagna di caccia.
Ma questa non è l’unica falla della sceneggiatura di Jim Agnew e Sean Keller: i due autori immaginano anche una sorta di parallelismo fra la vita del killer e dell’ispettore (entrambi con un passato difficile e, in qualche, modo esclusi dalla società). Idea di per sé vincente e fresca, se non fosse che le storie dei due personaggi sono solo dei frammentari accenni, senza spessore.
Anche l’idea di metter nelle mani di Brody sia il buono che il cattivo di Giallo, sarebbe potuto essere uno spunto interessante, soprattutto dal punto di vista attoriale. Ma il trucco pensato per il killer è davvero imbarazzante, e si rimpiangono i tempi in cui gli assassini di Argento erano delle mani guantate per quasi l’intero film. Conoscere l’assassino non è di per sé un male, ma trovarsi di fronte ogni volta un personaggio così grottesco toglie mordente alle poche scene forti del film, oscurando gli effetti di Sergio Stivaletti.
Giallo è un film senza sentimenti. Peccato, perché le prove argentiane di Jenifer (2005) e Pelts (2006), girate per la serie Masters of horror, avevano fatto sperare davvero bene.
Occluso per circa un anno e mezzo nelle spire di diabolici problemi distributivi, Giallo sta per arrivare anche in Italia, per mano della Dell’Angelo Pictures.
Luca Ruocco
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