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35 Bergamo Film Meeting: L’ultima spiaggia di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan

L’ultima spiaggia è un fluviale documentario che il cineasta greco Thanos Anastopoulos, omaggiato al Bergamo Film Meeting ha realizzato a quattro mani con Davide Del Degan, brillante film-maker attivo a Trieste per cui rappresentare la tradizionale spiaggia del Pedocin e i suoi avventori ha significato in qualche modo giocare in casa. Trattasi, per chiarire, del noto bagno comunale con una prerogativa probabilmente unica in Europa, scherzosamente presentata dai suoi frequentatori come un’eredità dello stile di vita austro-ungarico: tenere separati all’ingresso uomini e donne, con un muretto lungo la spiaggia stessa a prolungare fin quasi in mare tale pudica ripartizione.

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Tra i diversi appuntamenti festivalieri italiani, il Bergamo Film Meeting si distingue da tempo per quella particolare attenzione nei confronti di cineasti emergenti del panorama europeo, cui dedicare all’occorrenza qualche focus in grado di rivelarne il talento. E per questa 35esima edizione Bergamo ha calato sul piatto, anzi, sullo schermo, un bel tris. Le succulente filmografie della franco-algerina Dominique Cabrera, dell’islandese Dagur Kari e del greco Thanos Anastopoulos sono venute per l’appunto a costituire il terreno d’indagine di una sezione, Europe, now!, confermatasi assai ricca e stimolante; sia per coloro che, almeno in parte, conoscevano già le tre parabole artistiche prese in esame, sia per quegli spettatori che ne hanno scoperto sul momento i tratti caratterizzanti. Soprattutto del regista greco avevamo già visto, in realtà, ottimi lavori cinematografici (Diorthosi, 2008; I kóri, 2012) nei quali la profonda crisi economica e sociale del proprio paese aveva fatto da sfondo a intelligenti, coraggiose parafrasi di genere. Ma col recentissimo L’ultima spiaggia si va a parlare invece di un progetto ben diverso, anche perché Thanos Anastopoulos già da qualche anno, mosso pure da motivi affettivi, si è trasferito in Italia, per la precisione a Trieste. Ed è qui che si è trasferita anche la freschezza del suo cinema.

Vi si è trasferita, sì, ma in condominio: L’ultima spiaggia è difatti un fluviale (nella durata, marittimo nell’ambientazione) documentario che Thanos ha realizzato a quattro mani con “l’autoctono” Davide Del Degan, brillante film-maker del posto per cui rappresentare in un film la tradizionale spiaggia del Pedocin e i suoi avventori ha significato in qualche modo giocare in casa. Trattasi, per chiarire, del noto bagno comunale con una prerogativa probabilmente unica in Europa, scherzosamente presentata dai suoi frequentatori come un’eredità dello stile di vita austro-ungarico: tenere separati all’ingresso uomini e donne, con un muretto lungo la spiaggia stessa a prolungare fin quasi in mare tale pudica ripartizione. Apparentemente pudico il contesto, meno pudichi i discorsi dei (e delle) bagnanti, specie i soggetti più anziani, tant’è che ascoltarne durante il film le riflessioni intrise della così spesso caustica ironia triestina è davvero uno spasso.
Ecco, invece di innalzare muri (atteggiamento che pare essere sempre di moda), i due registi hanno preferito abbatterli, nel senso che ciascuno di loro stava meditando di fare il suo film su questo ambiente pressoché unico ma poi hanno preferito unire le forze. Saggiamente. Perché nel riprendere per l’arco di un anno intero (con uno spirito quasi alla Piavoli, ammesso che uno come Franco Piavoli ami alla stessa maniera i bagnanti e i loro piccoli riti quotidiani) lo scorrere della vita al Pedocin, Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan sono riusciti a restituirci un mosaico ricco, profondamente umano, in cui fanno capolino anche presenze animali (gatti & gabbiani, neanche si volesse far concorrenza all’animazione di Enzo D’Alò), ricordi di persone scomparse, detour subacquei. Già, perché L’ultima spiaggia è un’opera cinematografica, assai armonica e leggiadra, da vivere anche… in immersione.
Due piccole notazioni, in chiusura. Una relativa alle dichiarazioni dell’ateniese Thanos Anastopoulos, il quale, nel presentare il film al pubblico è solito citare la passione per il mare d’inverno condivisa da giovanissimo, in patria, con la propria famiglia: intimi ricordi di un tempo (neanche troppo) lontano che sono valsi da ispirazione, almeno all’inizio. Perché poi il lento e discreto processo di osservazione ha fatto autonomamente il suo corso.
L’altra notazione riguarda invece quell’interessante materiale di repertorio, tanto la parte concernente l’ambiente marino in sé quanto gli scorci della delicata situazione post-bellica, risorsa assai preziosa dal cui inserimento nella struttura del film si sono create particolari cesure che rimodellano, arricchiscono, ampliano il discorso, snellendo inoltre il ritmo della narrazione documentaristica.

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