« “La regina dei castelli di carta” sviluppa le tematiche delineate dai primi due film quali la corruzione, l’inchiesta giornalistica, la pirateria informatica, la pedopornografia».
Dopo Uomini che odiano le donne (2009) di Niels Arden Oplev, primo tassello del controverso universo descritto da Larsson nonché tra i film ‘non inglesi’ di maggiore successo nel mondo, la produzione opta per un cambio di regia affidando la direzione delle due pellicole consecutive a Daniel Alfredson, forse per variare lo stile narrativo, nella speranza di ottenere ulteriori primati ed una trasposizione più fedele all’omonimo best-seller.
Se la prima opera cattura il ‘tiepido’ pubblico europeo grazie all’avviluppata rete di misteri che aleggia sul clan dei Vanger e sulla sparizione di Harriet, loro ‘adorabile’ nipote, cui è chiamato ad investigare Mikael Blomkvist, talentuoso giornalista a capo della rivista Millennium, la seconda porta a galla con prepotenza tutto il passato di Lisbeth Salander e la sua nemesi paterna. Sepolta viva e scampata miracolosamente alla morte, al termine del secondo episodio La ragazza che giocava col fuoco (2009), la vita di Lisbeth (l’indiscussa protagonista interpretata dall’ermetica quanto tagliente Noomi Rapace, una trentenne attiva in Svezia tra teatro, cinema e TV), è sempre più implicata: accusata di triplice omicidio rischia, infatti, di essere messa per sempre a tacere. La sua unica possibilità risiede ormai nell’indefesso operato di Mikael (Michael Nyqvist), ancora saldamente dalla sua parte che, attraverso le potenti armi dei media, può fiutare la pista giusta e svelare la verità dietro la coltre di menzogne…
Per il regista nativo di Stoccolma e dal curriculum non indifferente (al suo attivo, una serie di action drama per la tv di notevole successo in Svezia, quali Dödsklockan e Varg), si tratta della parabola conclusiva di un romanzo poliziesco che lo ha condotto nell’occhio del ciclone. La regina dei castelli di carta rappresenta, pertanto, l’opportunità di rinfrancare la sua posizione condensando le tematiche insite nel romanzo e delineate dai primi due film quali la corruzione, l’inchiesta giornalistica, la pirateria informatica, la pedopornografia, lo spionaggio fra ex-Unione Sovietica e Svezia insieme ad una spirale interminabile di crimini e soprusi nei confronti delle donne. È un peccato che l’arroventato nucleo del romanzo venga, però, affidato per lo più al ruolo dei due personaggi maggiori ed alle attese annacquate quanto disilluse di un processo condotto tra altalenanti imprevisti e sterili omicidi che ne rompono, in definitiva, la tensione piuttosto che moltiplicarla. La fascinazione proveniente dalle ambientazioni nordiche, inedite ai nostri occhi, gioca, tuttavia, la sua parte controbilanciando le evidenti pecche presenti nel film.
C’è del potenziale inespresso in questa trama e se n’è accorta anche Hollywood: non a caso, il successo inaspettato della trilogia ha fatto eco anche negli USA, dove, di recente, il regista David Fincher ha annunciato che dirigerà una versione americana del primo episodio.
Da sempre il connubio tra cinema e letteratura rappresenta una possibilità ulteriore per il grande schermo, una lecita ingerenza capace di inoculare nuova linfa mediante la ricombinazione creativa dei due differenti cromosomi. Dai grandi classici della produzione letteraria ai romanzi gialli dell’ultimo secolo, passando altresì per alcuni ragguardevoli esempi di graphic novel, la consolidata propensione cinematografica ha ormai raggiunto persino le fredde latitudini svedesi, quelle di Stieg Larsson, l’autore della famosa trilogia “Millennium”.