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FESTIVAL DI CINEMA

Festival del cinema africano, asiatico e dell’America Latina

Il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina è l’unico festival italiano che offre una pluralità di accesso, confronto e dialogo con la cultura di tre continenti. La conferenza stampa del 27° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina è stata preceduta dalla proiezione del film Félicité (Orso d’argento Gran Premio della Giuria a Berlino) di Alain Gomis, regista franco-senegalese

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Il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina è l’unico festival italiano che offre una pluralità di accesso, confronto e dialogo con la cultura di tre continenti

La conferenza stampa del 27° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina è stata preceduta dalla proiezione del film Félicité (Orso d’argento Gran Premio della Giuria a Berlino) di Alain Gomis, regista franco-senegalese.

È una produzione che si avvale di tanti contributi (da Francia Belgio Germania, al Libano e al Senegal), con una storia tutta ambientata a  Kinshasa.

È congolese la protagonista, Véro Tshanda Beya, cantante nella vita e nella finzione; sono africanissimi gli sfondi metropolitani, le case, il locale da ballo, l’ospedale, gli interni e gli esterni tutti.

Félicité ritrae una donna con un nome che lei continuamente contraddice.

Sul palco sa trascinare nelle danze grazie alla voce, al ritmo, al movimento del suo corpo che i vestiti faticano a contenere.

Ma fuori dal ruolo, si porta addosso fin dall’esordio del film una rigidità espressiva che ce la fanno apparire stanca e decisamente poco felice.

Poi la situazione precipita in una svolta ancora più dolente,  che la vede andare da una parte all’altra della città a chiedere soldi, fino a mendicarli, per il figlio che deve essere operato.

Che orrore, la situazione medica di quei posti!

Piange, Félicité, ma mai in maniera accorata. Le lacrime scivolano dall’angolo degli occhi,  non al punto di trasfigurare i lineamenti del viso, come se non potesse permettersi di dare libero sfogo alla sofferenza.

E quando la situazione peggiora, può solo rifugiarsi in una dimensione altra.

Forse nel sogno riesce a ritrovare se stessa, mentre si immerge nella natura, si fa tutt’uno con gli alberi, e l’orlo delle sue vesti accarezza l’acqua del fiume.

L’alternarsi del simbolico e di un realismo estremo (qualcuno ha voluto vedere nel girovagare di Félicité in cerca di denaro una sorta di Dardenne equatoriale) ha il difetto di durare troppo.

Forse perché rispecchia i tempi  di questa donna africana che  per addolcirsi, almeno un po’, ci  vuole proprio tutta.

Il film non ci mostra il suo passato, cosa l’abbia così indurita e  inorgoglita, ma lo spettatore ad un certo punto vorrebbe solo che tornasse a cantare.

Accetterà la corte di Tabu, un po’ ubriacone, un po’ poeta, che le gira attorno e l’aiuta con i problemi del figlio?

Ecco, vorremmo si decidesse, perché nell’ultima mezz’ora il film sembra ripetersi senza avviarsi ad una sperata conclusione.

Peccato, perché la prima parte del racconto è davvero notevole.

Félicité verrà proposto due volte nel cartellone del Festival, così come gli altri nove lungometraggi del Concorso Finestre sul mondo, che comprende quattro film africani (oltre a questo di Alain Gomis, gli altri sono di Marocco, Tunisia, Egitto), tre asiatici (tra cui due opere prime) e tre del Sud America.

Per il resto la struttura del Festival non è cambiata, rispetto alle edizioni precedenti.

Il programma è fittissimo, fatto quasi tutto di prime nazionali, qualcuna europea e qualcun’altra internazionale.

È l’unico festival italiano che offre, come sottolinea in conferenza stampa Filippo Del Corno, assessore alla cultura di Milano, una pluralità di accesso, confronto e dialogo con la cultura dei tre continenti insieme, una costante attenzione alla scena complessa del mondo, senza perdere di vista, anzi incentivandola, la creatività giovanile.

È organizzato dall’Associazione Centro Orientamento Educativo – COE, che gestisce progetti di cooperazione culturali, in Africa Asia e America Latina ed è socio fondatore di Milano Film Network

È organizzato dall’Associazione Centro Orientamento Educativo – COE, che gestisce progetti di cooperazione culturali, in Africa Asia e America Latina ed è socio fondatore di Milano Film Network, una rete che coordina i sette festival milanesi di cinema (il vicinissimo Sguardi Altrove, dal 12 al 19 marzo, che finisce proprio il giorno in cui quello del COE inizia, e Milano Film Festival, per citarne solo qualcuno).

Franco Ascani, il suo vice- presidente, li ha definiti i magnifici sette festival, che danno alla città il piacere di un festival che dura tutto l’anno.

Un centro di orientamento educativo come il COE non poteva dimenticare le scuole, alle quali affida il privilegio e la responsabilità di scegliere, in due giurie distinte, il miglior cortometraggio africano da parte degli studenti e quello con un più alto valore pedagogico per gli insegnanti.

Sono previste inoltre quattro proiezioni mattutine  per le scuole medie e medie superiori.

La prima, I’m not your negro di Raoul Peck, è la stessa di apertura di tutto il festival, in collaborazione con l’Associazione Il Razzismo è una brutta storia; le altre tre vedranno la presenza dei registi in sala.

Molti saranno i film presentati dagli stessi registi durante tutto il festival o comunque da esperti qualificati.

Gli ospiti saranno tantissimi (All’ora del tè si può conversare con loro) in questa varietà di proposte.

Oltre ai concorsi e alle varie sezioni (come quella speciale Democrazie inquiete-viaggio nelle trasformazioni dell’America Latina), Milano vedrà un fiorire di iniziative ed eventi collaterali, dalla mostra fotografica nigeriana ai laboratori per bambini.

D’altra parte negli ultimi anni ha dimostrato una capacità tutta sua nel contenere fenomeni così articolati, di valorizzarli e valorizzarsi.

I luoghi occupati non saranno soltanto le sale cinematografiche, ma anche altre location che fanno tanto Milano: la nuova fondazione Feltrinelli, per esempio, quella sfida architettonica ancora sottoutilizzata.

Informazione non trascurabile: il Festival, nella sua ventisettesima edizione, prende il nome di Where future beats, dove pulsa il futuro.

Per cogliere queste pulsazioni sono state visionate più di  seicento pellicole. Sessanta quelle selezionate.

Il criterio della scelta, ha spiegato Alessandra Speciale, direttrice artistica, è stato quello di cercare uno sguardo che oltrepassasse il presente.

I problemi africani asiatici e sudamericani sono così tanti che si rischia di rimanere nell’urgenza.

Ciò che invece rende il cinema arte, e non semplice reportage, è proprio la capacità di andare oltre, di sapersi proiettare nel futuro.

Margherita Fratantonio

Per il programma completo del festival, clicca qui

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