“Passione, rabbia, incomprensione costituiscono i caratteri magistralmente messi in luce da Hoffman per raccontare i primi anni del ‘900 di una Russia all’alba della rivoluzione”.
“Tutto quello che so l’ho imparato dall’amore” recita, ancora su uno schermo nero, una didascalia tratta dal romanzo “Guerra e pace”. Ed il film, prendendo le mosse da questo incipit, si costruisce sull’alternanza continua di ideali e risentimenti, tra la grazia serafica di un uomo, ormai prossimo alla morte, ed una passione ed un’irruenza tali da costruire il suo personaggio in un intreccio tra ambiguità e speranza. Tolstoj e gli ultimi anni prima della sua morte sono gli spunti dai quali parte il regista per mettere in scena un biopic sui generis.
Dopo un altro film storico, Restoration – Il peccato e il castigo (1995), Hoffman, in questa occasione, ha la possibilità di contare sulla presenza di attori di fama internazionale, e mette in scena un lungometraggio in cui ogni immagine ha la grazia di raccontare gli ultimi istanti di uno scrittore che, ancora poco prima di morire, lotta per quell’amore che tanto idealizzò nei suoi scritti.
La supremazia dell’amore accanto alla sua impossibile realizzazione, l’idealismo più puro accanto all’ardore più incontenibile sono solo alcune delle dicotomie affrontate nell’ultima regia di Michael Hoffman.
Un’approfondita ricerca storica ed allo stesso tempo un’originalità romanzesca costituiscono gli aspetti che forniscono il doppio binario sul quale Hoffman si muove nell’ultimo film The Last Station, alternando, anche nella scelta della scenografia, la realtà sfarzosa della tenuta nobiliare in cui vive Tolstoj e quella dimessa delle campagne ombrose che circondano la fattoria dei suoi seguaci.
Dopo oltre sei anni di silenzio, ed ispirandosi al romanzo omonimo di Jay Parini, tra l’altro basato sui racconti dei discendenti dello stesso Tolstoj, il regista si dedica alla stesura della sceneggiatura con incredibile scrupolo, mettendo in luce gli aspetti più intimi dello scrittore. Per descrivere l’ultimo anno di vita di una delle più importanti personalità della letteratura russa, Lev Tolstoj (Christopher Plummer), il film privilegia la soggettiva idealistica del giovane Valentin (James McAvoy), ultimo segretario dell’anziano scrittore. Accanto a Chertkov (Paul Giamatti), discepolo più devoto, Valentin si scontra però con la realtà tumultuosa ed in perenne conflitto della casa dei nobili Tolstoj ed il fiorire di un amore con Masha (Kerry Condon), un’adepta del movimento tolstoiano. Divenuto intimo conoscitore degli ideali di uguaglianza e castità raggiunti nell’utopica fattoria nella quale si trovano i seguaci dello scrittore, Valentin deve fare i conti con la lacerante ambivalenza di una vita piena di fasti e ricchezze in cui Tolstoj vive accanto alla moglie, Sofja (Helen Miller), un tempo sua compagna e musa, ed ora in continua lotta per difendere dal subdolo Chertkov i diritti delle opere del marito.
Stanco di doversi dividere tra la moglie ed il Movimento da lui fondato, Tolstoj, di notte, fugge lontano fino ad arrivare all’ultima stazione della sua vita, dove, ammalato in un letto arrangiato, si riconcilia prima di morire con la compagna di una vita.
Inserendosi tra il melodramma storico ed il genere biografico, The Last Station è il risultato di una delicata regia volta a privilegiare la sceneggiatura, costruita ad hoc per un cast dalle personalità titaniche, che dona ai personaggi dei tratti universali che superano il contesto storico nel quale si inseriscono.
Passione, rabbia, incomprensione e ambiguità costituiscono i caratteri magistralmente messi in luce e raccontati all’interno di una cornice garbata dei primi anni del ‘900 nella Russia all’alba della Rivoluzione.
Martina Bonichi
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