Un film come In viaggio con Jacqueline, tutto costruito sul percorso a piedi di un contadino con la sua mucca, dall’Algeria a Parigi, può farci pensare a noia, lentezza, ripetitività. Ma se il contadino Fatah ha il viso contento di Fatsah Bouyahmed, non molto conosciuto sul grande schermo e quindi più credibile nel suo ruolo; se, oltre alla mucca, si porta a spasso la sua simpatia, mentre stabilisce relazioni empatiche e conquista come niente chi incontra sulla sua via, il coinvolgimento è assicurato.
Fin dallo sbarco a Marsiglia e il selfie compiaciuto che si fa con le guardie francesi, si capisce che sarà il benvenuto e non potrebbe essere diversamente, visto l’entusiasmo del suo arrivo. E lo stupore con cui osserva le abitudini francesi, un po’ come nel film Almanya di Yasemin Samdereli, ma senza gli stessi pregiudizi. Anche lui, alcune abitudini europee proprio non le capisce: perché un cane occupi un posto in salotto, per esempio (i bimbi in Almanya guardavano inorriditi i cani portati al guinzaglio). Non capisce come i francesi possano soffrire di depressione e cosa la depressione sia, quale parte del corpo colpisca. Né come si possa contestare il Salone dell’ Agricoltura, verso cui è diretto con la sua mucca Jacqueline, quando si trova in una manifestazione di allevatori.
Ma Fatah è avvantaggiato. Della Francia conosce bene la lingua, le canzoni che intona volentieri, e può anche vedere un film, che gli propone il suo nuovo amico Philippe (Lambert Wilson), La vacca e il prigioniero di Henri Verneuil con Fernandel. Philippe sostiene di conoscerlo a memoria, ma anche il regista Mohamed Hamidi dice di averlo visto almeno dieci volte da bambino e di averlo utilizzato come spunto, insieme a Little Miss Sunshine e a Una storia vera di Lynch. Chissà se ha visto anche la favola-documentario Bella e perduta di Pietro Marcello, quel viaggio visionario in compagnia di un bufalo da salvare, simbolo della salvezza impossibile dell’ Italia tutta. Insomma, pare che andarsene in giro in compagnia di un bovino non sia neanche un’idea poi così originale!
Ad ogni modo, come potrebbe non commuoversi Fatah davanti ad una vicenda simile alla sua? In realtà Fernandel impersona un prigioniero di guerra che fugge dalla Germania verso la Francia, utilizzando una mucca inoffensiva per passare inosservato e sembrare che la stia portando al pascolo. Fatah invece va fino a Parigi per vivere una bella esperienza, riconoscente al suo villaggio che ha raccolto i soldi della partenza, perché deve fare in modo che tutti conoscano la bellezza e il portamento di Jacqueline.
Come in ogni film sulla strada, ci saranno avventure e disavventure, alla quali il protagonista reagisce in una maniera così autentica da risultare irresistibile. Riusciranno i nostri eroi a raggiungere la meta? E come? Questo non possiamo dirlo, né possiamo raccontare altro, ma assicurare divertimento ed emozioni, sì.
Contrariamente a quanto invece succede in altri road movies, non definiamo questo viaggio un percorso di consapevolezza. Il protagonista lascia la sua terra con certezze già acquisite e il cammino altro non è che una conferma della sua buona disposizione verso se stesso gli altri la vita.
Per cui quando questo Candido moderno tornerà a coltivare il suo giardino non lo farà, immaginiamo, con uno sguardo diverso, bensì più profondo. Il film è anche una critica alla nostra società e ai suoi costumi, ai fenomeni di massa ridicolizzati, bonariamente. Mohamed Hamidi non vuole dirci che la società algerina è migliore della nostra, ma che le anime semplici sono più serene, ovunque, e chi invece ha impostato la propria vita sulla ricchezza materiale diventa un’anima tormentata come il conte Philippe, suo amico ed aiutante nella narrazione. “Fatah è un contadino che arriva in Francia con un sogno e scopre che anche qui la gente non se la passa bene”, dice di lui il regista.
La possibilità di integrazione e amicizia tra diverse culture è poi l’altro messaggio evidente del film e ci piace sapere che in Francia ha già raggiunto un milione di spettatori, mentre da lì e dall’Italia si lanciano proclami di chiusure, di muri e barriere e in America, ahinoi, si è passati dalla propaganda ai fatti.
Margherita Fratantonio