Trainspotting compie 25 anni.
Il cult del 1996 diretto da Danny Boyle è tratto dal romanzo omonimo di Irvine Welsh del 1993.
Il film è stato presentato fuori concorso al 49º Festival di Cannes del 1996. Presto diventato un vero e proprio iconic movie, nel 1999 il British Film Institute l’ha inserito al decimo posto della lista dei migliori cento film britannici del XX secolo.
Nel 2004 il film è stato definito come il miglior film scozzese di tutti i tempi in un sondaggio di pubblico generale.
Personaggi
Edimburgo. Mark Renton, ladruncolo per necessità, ha scelto un’onesta e sincera tossicodipendenza. Begbie, uno psicopatico violento e alcolizzato spaventa perfino i suoi amici, ma non si sognerebbe nemmeno di toccare la droga. Spud, un disperato, ma amabile eroinomane. Sick Boy, un narciso dalle conoscenze enciclopediche su Sean Connery, in grado di tenere sotto controllo la propria dipendenza dall’eroina. Poi c’è Tommy che non si droga, è un maniaco delle escursioni all’aria aperta e di Iggy Pop. Ai margini della storia, ci sono le ragazze del gruppo.
Tratto dall’omonimo romanzo di Irvine Welsh, Trainspotting è un film che non lascia tranquilli.
Trama
Scozia, Edimburgo. Mark e la sua combriccola passano le giornate tra una rissa al bar e un’iniezione di eroina, tra tentativi (falliti) di smettere con la droga e con “le sane, motivate e democratiche decisioni di tornare a farsi”. Ritratto nudo e crudo di una gioventù bruciata, che non ci sta a farsi inquadrare nello stereotipo del tossico da coloro che si vantano di appartenere alla parte sana della società, quella buona e che lavora, quella che non si rovina la vita “riempendosi le vene di schifezze”.
Probabilmente la prima pellicola a rappresentare il “problema droga” dal punto di vista di chi la droga la usa, ma attenzione, non cadete nell’errore di pensare che questo sia un film a favore di chi “si fa”, questo è un film contro, contro la tossicodipendenza e contro coloro che giudicano dall’alto del loro status symbol.
Trainspotting critica al consumismo
L’opera seconda di Danny Boyle è , soprattutto, una critica al consumismo, a quella classe media che non fa che giudicare e criticare quegli sciagurati dei drogati, chiedendosi ma perché non “scelgono la vita”?
Eppure chiusi nel loro bozzolo dorato, e crogiolandosi nella loro “superiorità”, non si rendono conto di essere consumisti anche loro.
Scegli la vita. Scegli un lavoro. Scegli una carriera. Scegli una famiglia. Scegli una fottuta televisione, scegli lavatrici, automobili, lettori di compact disc e apriscatole elettrici. Scegli una buona salute, un colesterolo basso e un’assicurazione dentale. Scegli il rimborso del mutuo a interesse fisso. Scegli una casa di partenza. Scegli i tuoi amici. Scegli abbigliamento per il tempo libero e bagagli coordinati. Scegli una suite di tre pezzi su acquisto rateale in una gamma di fottuti tessuti. Scegli il fai-da-te e chiediti chi cazzo sei la domenica mattina. Scegli di sederti su quel divano a guardare i giochi che intorpidiscono la mente e schiaccia gli spiriti, riempiendoti la bocca di cibo spazzatura. Scegli di marcire alla fine di tutto, pisciare l’ultimo in una casa miserabile, nient’altro che un imbarazzo per i marmocchi egoisti e incasinati che hai generato per rimpiazzarti. Scegli il tuo futuro. Scegli la vita . . . Ma perché dovrei voler fare una cosa del genere? Ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro.
Emblematica, a questo proposito, la scena in cui uno degli amici di Renton, Begbie, rimprovera Mark per l’uso di droga, e lo fa bevendosi una bella birra, un whiskey e con la sigaretta in bocca.
Dipendenza
Ma si va ancora più in profondità, il nocciolo della questione non è tanto il tipo di sostanza che usate, perché ce ne sono di socialmente accettate e ce ne sono di stigmatizzate, lo scopo, del libro prima e della pellicola poi, è quello di parlare di dipendenza in senso assoluto. Allora ecco che ci viene fornita un’interessante chiave di lettura del dilagante fenomeno del consumo di sostanze stupefacenti; la verità infatti è che il consumismo crea dipendenza, crea la necessità compulsiva di consumare o se preferite di acquistare: siamo tutti schiavi dello stesso sistema perverso.
Non è un film immorale
Trainspotting non è un film immorale (come è stato detto da certa critica che l’ha condannato scandalizzata), ma amorale, rimane cioè al di qua di un giudizio di valore, non condanna e non assolve l’uso degli stupefacenti, non indica vie d’uscita in positivo, osserva il fenomeno dell’autodistruzione con distacco e freddezza.
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