L’albero degli zoccoli è un film del 1978 diretto da Ermanno Olmi, vincitore della Palma d’oro al 31º Festival di Cannes. Il film, le cui riprese furono realizzate tra febbraio e maggio del 1977. Utilizza il dialetto bergamasco della zona in cui l’opera è ambientata (il film è stato girato prevalentemente nella bassa pianura bergamasca orientale compresa tra i comuni di Martinengo, Palosco, Cividate al Piano, Mornico al Serio, Pontoglio e Cortenuova), mentre a Treviglio è stata girata solo una scena, l’arrivo degli sposi contadini in città (Milano). La pellicola fu poi doppiata in italiano dagli stessi attori per la distribuzione italiana. Tutti gli attori sono contadini e gente della campagna bergamasca senza alcuna precedente esperienza di recitazione.
I loro nomi di battesimo (come pure quelli dei personaggi da essi interpretati), contrariamente alla regola che vuole il nome posto sempre davanti al cognome, scorrono nei titoli di coda dopo il cognome. Questa è stata una precisa scelta poetica del regista, che intendeva in questo modo rappresentare la condizione umile e assoggettata dei contadini di quegli anni. La critica ha selezionato il film tra le 100 opere da salvare.
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Sinossi
Tra l’autunno del 1897 e l’estate del 1898 quattro famiglie trascorrono, apparentemente in modo tranquillo, la loro vita in una cascina della campagna bergamasca. Tra i componenti di questa comunità esiste un profondo legame che li porta a vivere insieme le cose belle e quelle brutte che la vita riserva loro. Quando si tratta di versare al severo Mesagiù, il padrone della fattoria, i due terzi dei prodotti agricoli tutti cercano di barare per guadagnare qualche chilo di farina. Insieme uccidono il maiale, separano i contendenti e prendono parte alle sagre paesane e alle funzioni religiose. Un giorno a Menek si rompe uno zoccolo e papà Batistì per ripararlo è costretto a tagliare, senza chiedere permesso, una pianta del padrone.
Ispirato a racconti orali che lo stesso regista aveva ascoltato dai nonni, è un appassionato ritratto del mondo contadino nella regione bergamasca alla fine dell’Ottocento. Olmi ha ricostruito con estrema precisione le ambientazioni, i colori e perfino le sonorità del linguaggio. Il regista ha girato in dialetto col sonoro in presa diretta, che era una procedura piuttosto insolita in Italia in quel periodo. Un poema cinematografico che aggiorna in maniera squisita la lezione del Neorealismo. Anche se la protesta sociale di cui erano intessuti i film neorealisti qui è molto più sfumata, si ispira anche alla grande tradizione documentaristico-etnografica che ebbe uno dei suoi massimi rappresentanti nell’americano Flaherty (anche qui uno dei temi principali è quello della lotta per la sopravvivenza dei contadini in condizioni di estrema povertà e precarietà a livello morale e materiale).
L’albero degli zoccoli: la recensione
Ammirevole l’autenticità e la sensibilità, che non scade mai nel pietismo, con cui sono filmati gli eventi quotidiani di questa gente ordinaria, vittime di un sistema sociale basato sullo sfruttamento. Gli attori non professionisti sono spontanei ed efficaci senza inutili manierismi, e contribuiscono al sapore neorealista dell’opera. Sono sorte delle polemiche su una presunta ideologia “reazionaria”, poichè il regista sembrerebbe idealizzare alcuni valori del passato che sono pressochè scomparsi nella nostra società e che spiegherebbero l’attuale degrado. Tra le sequenze più belle, il viaggio di nozze dei due sposini su una barca diretta a Milano. Molto più crude, le immagini finali della famiglia costretta a traslocare a causa del furto di un ramo per costruire un paio di zoccoli.