La più grande rivoluzione avvenuta nell’ecosistema zombi negli ultimi venti anni la si deve a un’industria videoludica giapponese: la Capcom. Questa casa realizzò, nella seconda metà degli anni novanta, uno dei franchise più noti per quanto riguarda i videogiochi di genere survival horror. Nel 1996, infatti, la casa nipponica presentò un gioco chiamato Biohazard che, nel resto del mondo, fu rinominato Resident Evil. Con oltre 5 milioni di copie vendute e un grande successo di critica, oltre che di pubblico, il gioco divenne in brevissimo tempo un caso internazionale. Negli anni seguenti vennero messi sul mercato molti capitoli di questa saga che, nel tempo, è diventata non solo estremamente ampia, ma anche transmediale venendo, infatti, adattata per il grande schermo (agli inizi del millennio) da Paul W.S. Anderson. Regista che ha dato vita ad una longeva saga cinematografica e di cui ha diretto il primo (2002), il quarto (2010), il quinto (2012) e il sesto capitolo (quello in uscita questo giovedì).
A distanza di ben cinque anni da Resident Evil: Retribution il regista Paul W.S. Anderson è dunque tornato a dirigere un capitolo (ufficialmente l’ultimo) di una saga cinematografica iniziata nell’ormai lontano 2002 e che nonostante si discosti notevolmente dalla trama dei videogiochi ha lasciato inalterate alcune caratteristiche di base: la diffusione di un virus che rianima le persone e le trasforma in zombie e una multinazionale estremamente potente (la Umbrella Corporation) che ha causato tale epidemia
Sinossi: L’umanità è allo stremo dopo che Alice, Jill, Leon, Ada, e Becky sono stati traditi da Wesker a Washington DC. Alice deve tornare al punto in cui è iniziato l’incubo, Raccoon City, dove la Umbrella Corporation sta raccogliendo le proprie forze per un attacco finale contro i sopravvissuti. In una corsa contro il tempo Alice unirà le proprie forze con i suoi vecchi amici cui si aggiungeranno nuovi e improbabili alleati, in una battaglia piene di azione con orde di non morti e nuovi mostri mutanti. Tra il riacquisto delle sue abilità sovrumane e con l’attacco imminente della Umbrella, questa sarà l’avventura più difficile di Alice, cercare di salvare l’umanità, che è sull’orlo dell’oblio.
Recensione: Da dieci anni T-Virus ha iniziato ha seminare morte e distruzione sulla Terra. Dieci anni fa a Raccoon City tutto ebbe inizio e ora tutto sta per concludersi nuovamente lì: il cerchio si chiude. Al termine di Resident Evil: Retribution avevamo lasciato la protagonista Alice (Milla Jovovich) in procinto di difendere uno degli ultimi avamposti rimasti all’umanità: Washington DC. Quest’ultimo capitolo non ci mostra cosa sia successo a Washington, ma veniamo a sapere che la razza umana è stata tradita e che Alice è l’unica sopravvissuta di quel gruppo. La donna da allora vaga in un deserto abitato sola da mostri creati dal T-Virus e cerca solo di non farsi riconoscere dalla Umbrella. Contattata da una vecchia nemica, Alice dovrà decidere se tornare là dove tutto ebbe inizio e affrontare il suo passato per dare all’umanità un’ultima speranza di sopravvivenza.
Purtroppo Resident Evil: The Final Chapter è un pessimo capitolo conclusivo (anche se il finale lascia aperta la strada a diversi snodi narrativi) per una saga mediocre e che con questo sesto episodio mi ha lasciato con l’amaro in bocca. La trama del film è la cosa che più di tutte si salva, pur essendo spesso confusionaria e ingarbugliata. Con diversi riferimenti al passato, piacevoli ritorni (Iain Glen alias il dottor Isaacs) e alcuni risvolti che fanno sorridere e riconsiderare alcuni intrecci del passato, il film non annoia ma, come i capitoli precedenti, non sorprende più di tanto.
Il ritmo è più serrato di un videogioco e il montaggio è talmente caotico e frenetico da non far distinguere chi tiri un colpo a chi (e in un film di questo genere è davvero un problema). Il montaggio serrato vuole imitare quello utilizzato per Mad Max: Fury Road (l’inseguimento iniziale in auto è un perfetto esempio di quanto appena detto) con la differenza che qui alla regia abbiamo Paul W.S. Anderson, mentre da quell’altra parte c’era un signore che si chiama George Miller. Il risultato di una tale scelta è che molte sequenze danno veramente fastidio alla vista e causano il mal di testa. Come un videogioco il film si dimostra una costante corsa contro il tempo che non permette mai di prendersi un momento di sosta, guardarsi intorno e chiedersi se si stia procedendo nella direzione giusta e con una velocità adeguata.
Con un ambientazione per lo più desertica e con una civiltà sempre più sull’orlo dell’abisso e dell’estinzione, i riferimenti e gli ammiccamenti alla saga di George Miller non si limitano solo al montaggio: tra musiche, costumi, scenografie e personaggi sempre più postapocalittici il richiamo alle Wasteland australiane è estremamente marcato. Ad onor del vero va detto che sono rimasto colpito da come alcune creature mostruose siano state realizzate in vfx, nonostante il film abbia un budget estremamente ridotto: 40 milioni di dollari.
In conclusione Resident Evil: The Final Chapter probabilmente farà impazzire i ragazzini amanti dei videogiochi di ultima generazione, ma lascerà insoddisfatti quelli che amano, invece, il cinema, e che speravano in un epilogo un po’ più all’altezza delle aspettative (pur essendo ben coscienti di andare a vedere un franchise di serie B).
Andrea Bianciardi